«Nostalgia significa letteralmente “dolore che deriva da una vecchia ferita”. È uno struggimento del cuore, di gran lunga più potente del ricordo. Questo aggeggio non è una nave spaziale, è una macchina del tempo. Ti può portare avanti o indietro. Ci porta in un posto dove vogliamo tornare. Non si chiama “ruota”, si chiama “giostra”. Ci fa viaggiare nel modo in cui viaggia un bambino. Gira e rigira, e poi torna a casa. Che è il posto dove sai di essere amato».
Così il personaggio di Don Draper, celebre protagonista della serie Mad Men, presenta la sua nuova campagna pubblicitaria per il proiettore di diapositive Kodak. Una giostra che gira e rigira. Come un tornado.
È così che mi sono approcciato a Twisters, il sequel stand-alone del film Twister del 1996. Un film che promette di riportarti a quei classici Disaster Movie degli Anni Novanta, per ritornare bambino, in balia di un mondo sull’orlo del collasso, in un roboante ottovolante di emozioni. Il lavoro? Il mutuo da pagare? Il figlio urlante a cui cambiare il pannolino? Non esistevano. C’eri solo tu, davanti al tubo catodico, incantato da meteoriti pronti a disintegrare il pianeta (Armageddon, Deep Impact), vulcani infernali (Vulcano – Los Angeles 1997, Dante’s Peak – La furia della montagna), tempeste mastodontiche (La tempesta perfetta). D’altronde quando Madre Natura si rivolta che senso ha disperarsi? Soprattutto se sei uno bimbo di meno di dieci anni.
All’epoca poi poco importava che i film fossero belli. Mica c’erano spocchiose pretese da cinefili. Twister, nonostante la sceneggiatura firmata Michael Crichton, raccontava per quasi due ore di un gruppo di cacciatori di tornado in giro per l’Oklahoma, pronti a sfidare la vita per testare una loro invenzione. Bill Harding (Bill Paxton) è uno studioso che torna per far firmare gli ultimi documenti inerenti al divorzio alla sua ex moglie e collega Jo (Helen Hunt); ma l’opportunità di vedere in azione Dorothy, l’invenzione che lui stesso ha brevettato per studiare le trombe d’aria dall’interno, riunirà in maniera alquanto prevedibile la coppia. Fine. Ah, no, quasi dimenticavo: c’è una mucca che vola.
Nostalgia e cinema catastrofico. Una combo perfetta, insomma. Con questo inconsapevole desiderio di doppia regressione, vado all’anteprima di Twisters, pieno di aspettative. Ed è un disastro. Ovviamente non per i danni causati dai tornadi F5 presenti nel film. Ma proprio per lo spettatore!
Kate Cooper (Daisy Edgar-Jones) è una ex cacciatrice di uragani che si è ritirata dopo che in una spedizione ai tempi del college ha perso amici e fidanzato. Ma l’amico Javi (Anthony Ramos) la sniderà dal suo monotono lavoro a New York, riportandola nella ventosa Oklahoma per testare, con il suo Storm Par Team, un innovativo sistema di tracciamento di tornadi. Kate dovrà affrontare le sue paure sopite, oltre a una sgangherata squadra di cowboy, star del web, che si diverte a postare le loro avventure a caccia di tempeste, capitanata dal belloccio Tyler Owens (Glen Powell).
Nella esile trama si rivedono gli schemi narrativi del primo film: Kate ha lasciato le trombe d’aria, esattamente come il Bill di Paxton ha accettato un lavoro come conduttore televisivo di previsioni meteo (e una cotonata nuova mogliettina psicologa); inoltre Kate, come Jo – Helen Hunt, ha un trauma passato da superare, ma anche un sesto senso, un superpotere che, come per Bill, la spinge a tornare all’avventura. Entrambi lotteranno nella speranza, da una parte di sperimentare Dorothy, per raccogliere maggiori dati sui cicloni, dall’altra di testare un metodo addirittura per annientarli. Anche nella folle battuta di caccia alle tempeste tra due team in competizione si riscontrano analogie, a parte il fatto che in Twisters il gruppo di scatenati content creators, inizialmente avversari di Kate, si riveleranno poi i buoni che aiuteranno la protagonista.
Sì, perché (plot twist!) si scoprirà che Javi e il suo team di nerd supertecnologici sono sovvenzionati dal classico imprenditore senza scrupoli, che lucra sui disastri naturali a discapito dei poveri abitanti del luogo. E quindi l’unica speranza sarà il “Tornado Wrangler”, Tyler, esibizionista piacione, ma dal cuore d’oro, che crederà in Kate e la supporterà con la sua squadra nello scontro finale. Anche perché loro sono l’Oklahoma, autentica, verace: un’accozzaglia di stereotipi (rodeo, musica country, yee haw!) riuniti in un campionario di personaggi tanto piatti quanto ridicoli. Javi naturalmente si riscatterà, ma rimarrà nella Waste Land della Friendzone, al contrario di Tyler. Che un parallelismo tra uragani e amore, con bacio finale, non guasta mai.
Un film noioso quindi. Spiazzante per la sua banalità. Le scene action sono drammaticamente ripetitive. Anche perché la regola del “di più” non funziona per rinnovare l’attenzione tra uno scontro con un ciclone e l’altro: al primo tornado F1
seguono i due tornadi gemelli F3, agli F3 seguono l’F4, fino ad arrivare al tornado di fuoco… insomma, come nei Cavalieri dello Zodiaco! E sotto questo punto di vista vince a mani basse lo Sharknado del 2013, della cara e vecchia The Asylum. In fondo questo B-movie di culto ci suggerisce che la sola chiave con cui si può girare oggi un film catastrofico risiede proprio nell’autoironia: d’altronde come si fa ad approcciarsi a una trama di gente che va a caccia di trombe d’aria con serietà?
E la nostalgia? Nel vedere questo sequel, niente mi si è acceso nei meandri del ricordo. Nessuna epifania – anche perché questo Twisters mi sembra tutto fuorché una madeleine! Ripenso al mio sguardo incantato con cui mi perdevo tra gli effetti speciali della Industrial Light & Magic nel Twister del 1996. Probabilmente se lo rivedessi oggi, mi farebbe un altro effetto. Forse la giostra di cui parla Don Draper funziona fintanto che rimane nella nostra testa. Una mitizzazione di un passato tanto bello, quanto mai più raggiungibile.
Recensione scritta da Francesco Guarnori di Remake all’italiana
“Scopri i loro fake-remake di film e serie tv in salsa Made in Italy su Instagram e Facebook
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