Pomi d’ottone e manici di scopa, o latex e lollipop? Nel 2010, in un mondo dove la trasgressione è stata ampiamente sdoganata da censure morali, sicuramente il creativo Hideki Kamiya, papà di Devil May Cry, manco si pose il quesito, aggiungendo pepe alla sua nuova incantata creatura: Bayonetta.
Gioco dalla vita commerciale sfortunata, Bayonetta è stato per il genere action in parte quello che Resident evil 4 fu per il survival horror: l’estrema conseguenza, il pugno che sfonda i cieli per piazzarsi là dove nessuno era mai riuscito, per talento o per puro caso. Tra ironia, divertimento e doppi sensi a raffica, quindi, andiamo a tuffarci nel mondo della strega di Umbra, sperando di poter incontrare suoi favori in un bollente e sentito abbraccio.
You so sexy
Graficamente parlando, quello che salta più all’ occhio di Bayonetta è sicuramente la cura per il lato estetico di protagonista, personaggi secondari, ambientazioni e nemici. Permeato da una leggerissima patina ambrata, che si connette perfettamente ai colori delle costruzioni a schiera e agli archi in gran parte presenti nelle varie fasi di gioco, il mondo della nostra incantatrice, diviso in paradiso, purgatorio, inferno e mondo terreno è quanto mai curato. Al suo interno sono presenti ambientazioni che risultano principalmente una commistione tra architetture del ‘500-‘600 e figure tecnologiche moderne come stazioni con treni e altri particolari. Molto ben delineato anche se probabilmente non confacente al gusto di tutti, è il design grafico della strega di Umbra, che ne stabilisce anche il carattere disinibito e pruriginoso. Bayonetta infatti si presenta al pubblico come una donna slanciata, dal fisico inguainato in un “latex” nero e dai capelli raccolti in un imponente chignon talmente voluminoso da sembrare un trespolo che fa pendant con l’aspetto volante e farfallino, della stessa.
Una particolare attenzione inoltre è stata rivolta ai glutei della protagonista, suo marchio distintivo, che risultano pronunciati, esaltati da una camminata da soubrette e ipnotici all’occhio maschile. Il tutto è infine integrato da un paio di occhiali che strizzano l’occhio e fanno sicuramente felici gli appartenenti al mondo nerd. Ci ritroviamo difronte a un design indubbiamente peculiare insomma, che pur non incontrando il gusto di tutti (non dal busto in giù, però, almeno credo) è sicuramente incisivo e molto caratterizzante.
E’ curioso notare anche, volendo aggiungere una postilla all’argomento, come probabilmente Bayonetta col suo fisico dal busto esile e dai fianchi larghi abbia stabilito un piccolo primato personale come eroina che ha anticipato i tempi nell’ideale di bellezza contemporanea del corpo femminile, che hanno decretato e consacrato recentemente fenomeni mondiali come Kim Kardashian.
Anche i personaggi secondari del titolo hanno incontrato i favori di Kamiya e dei suoi Platinum Games in termini estetici, esponendo personaggi dai tratti distintivi come l’impacciato giornalista Luka: dal cappello da gondoliere che si va a connettere al suo nome di origine italiana e al suo esser girovago. In ogni caso anche qua non si raggiunge l’optimum in termini di gusto, probabilmente, ma risulta comunque apprezzabile lo studio così ricercato dietro i personaggi.
Una caratteristica comune di tutti gli stessi, da evidenziare, va ricercata, tra l’altro, nelle proporzioni slanciate che sfoggiano da discesa in campo in discesa in campo, i personaggi. Delle proporzioni perfettamente aderenti alle tematiche ultraterrene sia letteralmente che non e alle volanti e ad ampio respiro cinematiche del titolo.
Maggiore fortuna e favore del pubblico probabilmente invece la incontrano le variegatissime creature nemiche presenti nel titolo. Nello specifico, nel caso degli angeli, per esempio, questi mostreranno spesso all’altezza della testa, in un corpo da battaglia contornato da dettagli in oro, becchi preziosi e facce che rimandano agli innocenti visi dei putti di età barocca. Un dettaglio che li rende assolutamente caratteristici e classificabili come vere e proprie creature celesti nonostante le orrifiche protuberanze.
Venendo a dettagli puramente tecnici, i mondi e le figure di Bayonetta presentano una più che buona mole di poligoni, gestiti in maniera altalenante nel frame rate in base alla piattaforma su cui gira. Ci troveremo dunque in paradiso nella recente versione pc del gioco, in un ideale purgatorio (anche se di tale in senso stretto non si tratta visto che girano bene) nelle versioni per Xbox 360 e WiiU e letteralmente all’inferno per quanto riguarda la Playstation 3, martoriata da moltissimi cali di prestazione.
La magia racchiusa in un pad
Il punto forte di Bayonetta risiede però sicuramente nel suo sistema di combattimento, intuitivo e profondo e nella sua grandissima giocabilità che porta alle estreme conseguenze quanto già apprezzato in Devil May Cry. La mappatura dei controlli, almeno su Xbox, risulta assolutamente perfetta ospitando un sistema di combo che facendosi forza principalmente su due tasti (dei calci e dei pugni) rende devastanti, coreografici e facili da imparare i balletti di morte della nostra strega.
Il sistema, data la facilità di memorizzazione che porta in serbo per merito dell’impostazione a due tasti, risulta quindi anche molto vario e stimolante. A limare definitivamente il sistema di combattimento ci pensano un attacco a rallentatore, il Witch time, attivabile tramite le schivate e delle spettacolari finisher, caricabili tramite una barra apposita e spammabili tramite un solo tasto. Le stesse risultano oltretutto divise in ordinarie e speciali, e in linea con l’impianto narrativo goliardico proposto. Si potrà contare, tra le disparate possibilità, in tapis roulant dentati, terribili vergini di ferro, ghigliottine e demoni famelici che nei momenti di maggiore pathos non mancheranno di lasciare Bayonetta completamente nuda.
Durante la lunga avventura proposta, ci si troverà a sfruttare il rooster di attacchi e combo contro una varietà impressionante di nemici armati fino ai denti di cannoni, guanti affilati, asce, lance e chi più ne ha più ne metta. Non esiste però uccisione senza ricompensa nel mondo dei videogiochi ed ecco quindi che i vari avversari sconfitti rilasceranno la “moneta” corrente del mondo di gioco: gli halo.
Questi cerchietti dorati sono utili per poter aggiungere armi su armi al carnet a disposizione, ampliabile tramite il negozio del burbero demone Rodin. La bottega offre, tra le tante armi disponibili, spade laser, armi elementali, diversi tipi di pistole, guanti dentati e altro ancora rigorosamente da inserire negli inediti quattro slot a disposizione per mani e piedi.
Durante le moltissime battaglie che il videogiocatore si trova ad affrontare, con cadenza perfetta fanno capolino le classiche boss battle di fine livello- delle battaglie che con un cast di serpentoni, statue semoventi e nerboruti giganti risultano assolutamente spettacolari, ben integrate e molto ben strutturate. Nell’ambito sono stati inseriti anche degli intelligenti QTE (quick time event) che vanno ad integrarsi a delle mirabolanti sequenze filmate.
Da menzionare altresì, anche certe sorprendenti sessioni di gioco, che non mancano di sottolineare in maniera quasi parossistica le epiche movenze eseguibili, utili per spezzare il ritmo tra un’arena di combattimento e l’altra, e i facili, ma utili per la ricchezza generale del titolo, enigmi ambientali.
Una narrativa svalvolata
La narrativa di Bayonetta propone una storia abbastanza classica che vede fronteggiarsi bene e male. I saggi di Lumen e le streghe di Umbra sono in guerra da tempo e il destino della smemorata protagonista, come è lecito aspettarsi, fungerà da classico ago della bilancia per le sorti del confronto .
la storia dell’incantatrice di Umbra a livello narrativo però trova il suo reale punto di forza in una messa in scena dinamica, spesso avviluppata su se stessa e in generale sorprendente e davvero fuori di testa. La storia, intrisa di battute e momenti epici e parodici che non mancano di andare anche contro il buon gusto (a torto a volte), tiene quindi compagnia al videogiocatore per tutte le 10 e passa ore di durata. Ad accompagnare questa, inoltre ci pensa un corredo di fermo immagine incorniciati nella pellicola cinematografica che ben rendono l’idea di quanto improntata al farsesco e all’opera di fantasia sia la trama.
Una nota di demerito invece è assegnabile ai vari personaggi secondari e antagonisti in gioco, giustamente macchiettistici per la mole esagerata di contenuto che il titolo propone in tanti altri aspetti ma non capace oltre il buon design, di bucare in maniera davvero convincente lo schermo.
Fly me to the moon
Se la narrativa del gioco soffre di alti e bassi in diversi settori, lo stesso non si può dire della colonna sonora, sempre pertinente e incalzante. Motivi dalla matrice dance si susseguono ben armonizzati a canti gregoriani che descrivono bene la sacralità dell’ordine delle incantatrici di Umbra. Il tutto è suggellato da un grande rifacimento in chiave moderna di Fly me to the moon di Frank Sinatra che risulta i tag-theme vero e proprio della produzione.