Dollhouse è il classico esempio di come a volte, e purtroppo, un’idea e un concept piuttosto creativi ed interessanti non siano sufficienti a costituire un buon videogioco. Sviluppato dal team di Creazn Studio, seppur al suo stato embrionale, il titolo aveva vinto il riconoscimento di “best concept” assegnato al Level Up Expo del 2013. Trattasi di un premio prestigioso, meritato grazie ad uno stile da film noir con tanto di atmosfera da horror psicologico cupa e claustrofobica, e ambientato in un labirinto contorto frutto dell’immaginazione della nostra protagonista, che sei anni dopo è finalmente tra noi per catturarci con la sua tetra ed intrigante storia.
Una storia cupa e interessante, ma non è tutto oro ciò che luccica…
Il gioco è ambientato alla fine degli anni ’50 in un’Hollywood molto più oscura di quella a cui siamo abituati. Un’attrice di nome Marie (un tempo nota come ‘The Great Marie’), ora detective, soffre di amnesia e non riesce a ricostruire il suo passato ricco di misteri e terribili segreti, mentre si accinge a cercare quella figlia che una parte di lei ritiene perduta per sempre. Le premesse per una storia interessante ed avvolgente ci sono tutte, non c’è che dire, e nonostante i pochissimi filmati, i copioni da ricostruire alla fine di ogni capitolo del gioco (per la precisione 8 per un totale di circa 6-7 ore) costituiscono un’aggiunta molto gradita, dato che narrano alcune interessanti vicende riguardanti la nostra detective – e non solo. Va comunque sottolineato che la narrativa – copioni da sistemare a parte – è abbastanza buttata a caso e non dà mai la sensazione di poter decollare, nonostante la presenza di due finali diversi abbastanza riusciti – specie quello più ‘completo’. A dire la verità, l’intero ultimo capitolo è tutto sommato abbastanza piacevole da giocare, ma è una magra consolazione per un titolo horror che avrebbe dovuto essere story-driven, e che invece abbozza molto la sua trama senza poi svilupparla più di tanto.
Il labirinto lo costruisce la paura di essere giudicati
Come detto, il gioco si divide in 8 capitoli, ognuno dei quali presenta un labirinto generato casualmente, e in cui potremo trovare grosso modo gli stessi oggetti da raccogliere: chiavi, fotografie, materiale cinematografico, stelle, gesso, batterie e chi più ne ha più ne metta. Le foto e le stelle trovate serviranno ad aumentare l’esperienza, le chiavi naturalmente ad aprire alcune porte, le batterie a ricaricare l’utilissima torcia, ed infine i gessi saranno utili per segnare la strada (se volete un consiglio, mettetene uno subito fuori da ognuna delle porte più importanti, così da ritrovarle più facilmente). Il primo problema del gameplay sta nella sua eccessiva ripetitività e linearità, in quanto ogni capitolo ammonta sostanzialmente a cercare un determinato numero di diapositive da far analizzare in specifiche macchine, per poi farci portare ad una porta specifica. Una volta fatto, la porta in questione potrà essere aperta, e dopo aver risolto un breve enigma otterremo la Master Key per aprire il camerino di una specifica attrice. In seguito potremo poi ritornare alla porta iniziale per arrangiare il copione (aiutandoci con quante più citazioni troveremo sui muri), e passare così al prossimo capitolo.
Ovviamente non sarà tutto rose e fiori, in quanto saremo inseguiti da inquietanti e aggressivi manichini con sembianze femminili, che inizieranno l’inseguimento quando daremo loro le spalle (a meno che non giochiate la campagna in modalità spettatore). La nostra unica forma di difesa sarà una torcia (un po’ troppo lenta a ricaricare la sua batteria) che potremo utilizzare per illuminare i corridoi bui e per far partire un flash in grado di fare scomparire i nostri nemici – o perlomeno, buona parte di essi. Alcuni manichini infatti, specie andando avanti nel gioco, saranno immuni a questo effetto, senza contare che ad ogni capitolo saremo periodicamente scoperti e inseguiti da una nemesi femminile (con le sembianze di una delle attrici nostre rivali) che non ci lascerà scampo una volta chiusa la distanza che vi separerà. Per questo motivo, dato anche l’alto numero di manichini, è sempre meglio risparmiare la torcia e cercare di sfuggire correndo per brevi tratti o camminando all’indietro, tenendo i manichini in vista per non farli muovere. Rimanete concentrati sul vostro obiettivo e aiutandovi con alcuni oggetti: una volta capito il meccanismo, non dovrebbe essere troppo difficile portare a termine il gioco, a patto che vi siate armati della necessaria pazienza.
Uno dei problemi sta nel fatto che una volta morti perderemo quanto accumulato, e per recuperarlo dovremo tornare sul luogo del delitto: è quindi importante cercare di stare sempre all’erta, o perlomeno di morire non lontano da un checkpoint. Questo meccanismo, unito al fatto che spesso si perderà ovviamente la via e con essa la vita, rende sostanzialmente inutile l’accumulo di esperienza, dato che quando schiatteremo ne perderemo un sacco ed addirittura (con ogni probabilità) regrediremo al livello inferiore… o persino peggio! L’inutilità quasi totale del livellamento è un vero peccato, perché rende superflua la presenza di stanze speciali rosse caratterizzate da un’enigma fatto con raggi di luce in grado di darci un boost di esperienza notevole: questo quasi costringe il giocatore a depositare i canister cinematografici raccolti in una macchina blu, (più veloce a ricaricarsi ma meno redditizia) o gialla (più lenta ma più redditizia), in grado di darci la possibilità di equipaggiare nella stanza iniziale nuove abilità tramite l’interazione con la cassaforte. Le abilità, dal canto loro, sono una feature piuttosto interessante e variegata, nonostante il loro alto costo per essere equipaggiato dipenda strettamente dal nostro livello. Di conseguenza, probabilmente non avremo molto spazio a nostra disposizione!
Gli enigmi alla fine di ogni capitolo sono forse l’unico elemento un minimo di livello per quanto concerne la giocabilità. Nonostante la loro semplicità fanno il loro lavoro abbastanza egregiamente, specialmente a livello di stile. Lo stesso non si può dire però per il montaggio delle scene: ha poco a che fare con la storia del gioco, e sostanzialmente ammonta ad una scelta puramente legata ai bonus che si vogliono ottenere alla fine di un capitolo per il successivo. Una caratteristica veramente poco influente. Nota di merito per la modalità multiplayer (giocabile anche online) che, pur essendo piena zeppa di bug e problemi (anche perché finora è presente soltanto come beta), può comunque garantire qualche ora di divertimento in una vero e proprio inseguimento con ben 14 assassini selezionabili, ciascuno con abilità uniche. Parlando onestamente però, dati i tanti problemi, dubito che la community rimarrà attiva per tanto tempo! Il gameplay è in definitiva uno dei principali problemi del gioco in quanto, al di là della monotonia di un vero e proprio loop di gioco, le meccaniche sulla quali si basa sono davvero eseguite male.
Stylish but not flashy
Passando alle visual, la grafica non è sicuramente stellare, ma è doveroso riportare che lo stile in sé è abbastanza ispirato e ricorda (soprattutto per le immagini delle registrazioni e i manifesti) più o meno da vicino quello già visto e apprezzato della storica saga di Bioshock (specialmente i primi due, a dire il vero). Peccato però che tale stile vada sprecato da gravi problemi a livello di performance e soprattutto di frame rate. Occasionalmente infatti (specialmente nel capitolo 2 ed in quello finale), il gioco incorrerà in rallentamenti davvero fastidiosi ed inspiegabili con cali di fps vistosissimi, forse fino addirittura a 15, specialmente in livelli con fiamme o esplosioni su schermo.
Come se non bastasse, è impossibile non sottolineare la presenza di bug preoccupanti che potrebbero anche scoraggiare molti utenti dal proseguire il gioco. Ad esempio, a volte succede che una volta caricata una diapositiva nell’apposita macchina, le proiezioni cinematografiche (che normalmente durano qualche secondo) rimangano fisse sullo schermo, costringendo il giocatore ad uscire e ricaricare dal checkpoint più vicino per essere in grado di orientarsi un minimo. Per aggiungere il danno alla beffa, alla morte – senza motivo – il gioco potrà cancellare uno o più dei vostri segni lasciati coi gessetti, rendendo davvero frustrante il ritrovarli per marcarli nuovamente sul muro. Come già citato prima, infatti, è davvero conveniente mettere un segno sul muro in tre locazioni specifiche: la porta iniziale, la porta dell’enigma di fine capitolo e il camerino dell’attrice, dal momento che sono luoghi chiave nei quali dovrete per forza ritornare. Come potrete immaginare, trovarseli cancellati (li troverete sempre sul muro, ma senza il marker su schermo per altro) risulterà davvero frustrante dato che chiaramente non è una scelta voluta dagli sviluppatori. Il nostro consiglio è quello, se possibile, di giocarlo su PC e non su PS4, per arginare almeno parzialmente i tanti problemi di un gioco che onestamente è stato rilasciato veramente in uno stato a tratti pietoso, a tratti sconcertante. Il sonoro e i dialoghi sono fatti dignitosamente, ma inspiegabilmente i sottotitoli si fermano quasi sempre dopo la prima frase, rendendo molto difficile seguirli. Questo accade quasi sempre in Dollhouse: tutto potenziale totalmente sprecato.
Missing Footage…
In conclusione, il gioco purtroppo non è davvero raccomandabile: lo stile e le premesse interessanti sono quasi subito deluse da una storia che non decolla praticamente mai, un gameplay basato su meccaniche davvero lacunose – a dir poco – e le performance del gioco che in quasi tutti i campi sono davvero di livello molto basso. L’idea di base era davvero interessante, e spesso i giochi indie da questo punto di vista danno garanzie positive: il problema è che quando l’esecuzione è così mal eseguita, e a tratti imbarazzante, il prodotto finale risultante è un horror psicologico, e prima ancora un gioco da evitare a cuor leggero.