Il mercato indie negli ultimi anni ha dato vita a prodotti vicini al genere survival horror, come Daymare 1988 o appunto Follia: Dear Father. Difatti studi indipendenti, spinti dalla voglia di confrontarsi con gli esponenti di un genere che stimavano, hanno dato forma ai loro sforzi, plasmandoli con “regole” già scritte. Tale scelta può però nascondere delle insidie e non poche. In particolare, ci si deve confrontare con esigenze alla base della realizzazione di tali titoli, come di realizzare atmosfere e situazioni che trasmettano ansia al giocatore. Saranno riusciti i ragazzi di Real Game Machine a schivare le varie palle curve presenti nel loro percorso?
Trama
Follia: Dear Father racconta l’avventura di Marcus Pitt, un ragazzo che all’inizio della sua storia si recherà al campus universitario dove lavorano i genitori per dipanare i misteri sulla loro improvvisa scomparsa. Una volta entrato nell’edificio da una finestra sul retro, si troverà davanti ad una situazione drammatica: tanti morti e una serie di creature mostruose pronte ad ucciderlo. Nelle circa cinque ore che dura una run, la storia del gioco si dipana attraverso dei documenti da trovare negli scenari di gioco. Quest’ultimi non superano la dozzina e contengono brevi antefatti, che forniscono spiegazioni con il contagocce, lasciando al finale il compito di rispondere alle domande dei più curiosi.
Tuttavia, raggiungendo i titoli di coda, si ottiene una magra consolazione alla propria curiosità. In effetti la spiegazione di ciò che è realmente accaduto nel campus, risulta sbrigativa e poco profonda, lasciando inespresso il potenziale del comparto narrativo. Non aiuta a dare maggior spessore alla trama la scelta del protagonista, Marcus Pitt. Difatti egli risulta tropo un fantoccio in balia degli eventi tanto che appare quasi un mezzo attraverso il quale il giocatore vive una storia che un personaggio in cui immedesimarsi. In particolare, le sue reazioni e le animazioni, poco curate, accentuano questa situazione.
Vagare nel campus
Follia: Dear Father ricalca una formula, già sperimentata da altri come Amnesia o Outlast e ormai considerata un modello classico per il genere horror. Gli elementi cardine sono: visuale in prima persona; l’impossibilità del protagonista di contrattaccare contro i nemici; l’esplorazione di ambienti ansiogeni e ostili. Questa “ricetta” è spesso accompagnata da un gameplay minimale e da pochi comandi. Infatti il gioco permetterà al giocatore di far compiere a Marcus un numero limitato di azioni: camminare, correre, accucciarsi e interagire con pochi oggetti. In particolare, si va grande uso delle prime due azioni e infatti, siccome il personaggio potrà solamente parare gli attacchi di alcuni nemici, l’unica speranza sarà allontanarsi a sufficienza per non essere più seguiti, per poi curarsi le eventuali ferite. Ad ogni modo, durante l’esplorazione il videogioco avviserà il giocatore della presenza di pericoli attraverso dei suoni, come sospiri del protagonista o versi dei mostri.
A contrapporsi ad un discreto uso del sound design, vi è la presenza di scenari non proprio ispirati, anche se non mancano comunque alcune zone realizzate meglio. Per orientarsi nell’oscurità, il personaggio può sfruttare una torcia oppure un accendino, naturalmente questo emette meno luce della prima. Tuttavia, quest’ultima avrà una durata minore dato che le pile si scaricheranno abbastanza velocemente, portando così alla loro ricerca nelle stanze del campus. Un’altra differenza tra i due strumenti è data dal fatto che l’accendino, differentemente dalla torcia, non consentirà di correre e contemporaneamente di illuminare le stanze. Infine, va sottolineato che l’uso di queste fonti di luce va sapientemente gestito perché se da un lato consente l’esplorazione necessaria a risolvere degli enigmi ambientali, dall’altro allerterà i nemici.
La luce del buio
Dal punto di vista tecnico, Follia: Dear Father soffre di una serie di piccoli difetti, potenzialmente derivate dai mezzi a disposizione del team di sviluppo, composto da sole due persone. I problemi più visibili sono: delle animazioni spesso carenti, una pulizia dell’immagine non soddisfacente visti gli effetti abbastanza fastidiosi sulle superfici. In ogni caso, nonostante degli scivoloni tecnici e una cura non maniacale, le ambientazioni restituiscono al giocatore un certo senso di ansia e tensione, che troppo spesso sfocia nel jumpscare. Purtroppo, una mancanza di responsività del comando per interagire con gli oggetti va a smorzare l’atmosfera appena descritta. Addirittura, i ripetuti e maldestri tentativi di azzeccare il giusto posizionamento affinché si attivi l’azione richiesta, possono sfociare nel frustrante.
Conclusione
Follia: Dear Father è un survival horror che non spicca tra la massa dei titoli indie simili, a causa anche dei limiti della sua natura. Inoltre, si affida ad una struttura già vista, quasi abusata, senza introdurre elementi originali, ma portandosi dietro di sé elementi da saper amalgamare con gli altri. Mi riferisco alla presenza di un leggero backtracking o a scelte come quella di un inventario gestito a slot, il cui quantitativo può essere aumentato attraverso la raccolta di consumabili. Nel complesso il videogioco riesce a convogliare tutto ciò in un prodotto più che sufficiente al netto di elementi che non funzionano pienamente. Sicuramente ad alcuni, maggiormente disposti a sorvolare sui difetti, potrà piacere, ma appunto non riesca ad andare ben oltre la sufficienza.