Assault Suit Leynos è stato, per chi non lo sapesse, un glorioso titolo uscito decadi fa per MegaDrive. In verità ne è stato prodotto anche un seguito per SegaSaturn e, più o meno parallelamente, su console Nintendo fu realizzata la serie Assault Suits (qui è al plurale) Valken, da cui originò forse il miglior gioco della serie: Gun Hazard.
Il genere, molto in voga all’epoca, è quello dello sparatutto-platform. Ai tempi, oltre ai già citati, non si può non ricordare la fortunata serie di Contra della Konami o l’occidentale Turrican, uno dei titoli più popolari e ben fatti su Commodore Amiga. E che dire del solo poco più moderno Metal Slug, classico arcade firmato SNK? Saltare e sparare, sparare e saltare; tutto questo lungo il più classico degli scrolling orizzontali 2D.
Gundam e i suoi fratelli
Pur essendo un gioco di molti anni fa, è presente una storia che, nella sua semplicità, risulta ben fatta e ben raccontata. Senza addentrarci nei particolari per non rovinare il gusto della scoperta a chi intendesse giocarvi – e ovviamente non ha mai avuto tra le mani l’originale – vi diciamo soltanto che è presente anche un piccolo colpo di scena riguardante la natura e l’origine dei nemici con cui vi troverete a combattere.
Manco a dirlo, il contesto ambientale, il look ed i profili dei personaggi ricordano da vicinissimo le saghe di Gundam. Ovviamente ci riferiamo alla serie originale ed ai relativi seguiti appartenenti alla cronologia ufficiale. Nulla a che vedere con i più moderni e numerosi spin off, side story, ecc.
Anche la grafica attinge a piene mani dal Gundam universe. Un dettaglio su tutti: i Mech presentano il monocolo centrale, iconico elemento che contraddistingueva gli Zaku della suddetta serie. Più in generale, tutto il design strizza continuamente l’occhio alla saga del robot bianco. Le astronavi, i mezzi, le ambientazioni; da queste ultime persino l’inquadratura di numerosi fondali è la medesima. …solo il comandante della flotta terrestre sembra il fratello gemello del capitano Avatar di Uchu Senkan Yamato (Star Blazers in occidente). E comunque, anche in questo caso, il riferimento agli anime spaziali giapponesi a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 è assoluto.
Il peso degli anni
Purtroppo, nonostante tutte queste nobili fonti ispiratrici, la grafica di Assault Suit Leynos risente moltissimo del peso degli anni e troppo poco è stato fatto per migliorarla. Certamente è più di un semplice porting grafico in cui ci si è limitati a migliorare la definizione, ma tutto rimane troppo grezzo. Gli sprite, i livelli di parallasse, quasi ogni cosa sa di vetusto ed improvvisato. Altro aspetto che rende perplessi è la discontinuità della grafica stessa: alcuni fondali sono anche ben fatti , gli sprite, al contrario, sono quasi tutti cubettosi.
Il lavoro grafico fatto è dunque onestamente insufficiente, anche e soprattutto tenendo conto della potenza hardware di una PS4 rispetto ad un MegaDrive. Solo per fare un confronto, il recente Street Fighter II per Switch ha beneficiato di un completo e radicale restyling grafico. Come abbiamo avuto modo di sottolineare nella nostra recensione del gioco, Capcom ha ridisegnato uno ad uno tutti i fondali ed i personaggi. Poi, naturalmente, è stata inserita l’opzione di giocare con il look classico o quello moderno. Qui, al contrario, esistono le opzioni Arcade e Classic (più aderente come difficoltà alla versione MegaDrive), ma la differenza a livello grafico tra le due è praticamente nulla.
Gli stage seguono fedelmente la successione della versione MegaDrive, riproponendo tutti i frangenti originali. Indimenticabile la scorta all’incrociatore nell’atto di rientrare nell’atmosfera terrestre. Fondamentale fare piazza pulita di tutti gli aggressori e rifugiarsi all’interno della nave appena difesa prima che il proprio mezzo, vittima del campo gravitazionale, si surriscaldi eccessivamente e finisca col trasformarsi in una palla rovente in caduta libera. Ci sarebbe molto piaciuto che fossero state inserite altre missioni del medesimo livello. Niente, nulla: otto missioni erano all’epoca e otto sono rimaste.
Il rumore delle esplosioni nello spazio (!)
Per quanto riguarda il sonoro va un po’ meglio. Gli effetti degli spari e delle esplosioni sono quantomeno credibili e le musiche ben si accompagnano alle situazioni più epiche o ai momenti maggiormente drammatici. Rispetto alla versione originale, anche l’aggiunta del parlato svolge la sua parte. Seppur in giapponese, il tono delle voci dei protagonisti ben rende lo stato d’animo degli stessi e la disperazione causata dagli eventi in cui sono coinvolti.
E’ tutto come una volta…
Il gioco appartiene alla vecchia scuola e non perde mai occasione di ricordarvelo. L’unità da noi manovrata è volutamente tozza, massiccia e pesante. Jetpack a parte, che comunque implica un’inerzia considerevole nei cambi di direzione, la lentezza e la scarsa reattività del mezzo sono davvero considerevoli. Scelta che ai tempi era una mezza necessità!
Anche l’armamento è sulla stessa lunghezza d’onda. La mitragliatrice, unica arma con colpi infiniti, necessita di un certo tempo di ricarica. Terminato il caricatore di quaranta colpi, che se utilizzato in maniera continuata dura solo qualche secondo, occorrerà attendere il refill automatico. Le altre armi invece sono completamente a consumo: una volta esaurite non potranno essere ricaricate fino alla missione successiva. Anche in caso di Game Over prematuro e Continue, che sono infiniti, le armi consumate non torneranno alla carica completa per il prosieguo della missione dall’ultimo check point.
In Assault Suit Leynos il sistema degli upgrade rimane ancor oggi molto interessante e tecnico, pur nella sua semplicità. Il vostro Mech dispone infatti di sei slot, variamente assegnabili ad inizio missione con gli upgrade in vostro possesso. Dovrete considerare e valutare il giusto mix tra armi ed equipaggiamento di servizio e protettivo. Jetpack, scudo, armatura supplementare… andranno tutti ad occupare degli slot, ovviamente a scapito delle armi che potrete portare con voi in battaglia. Questo sistema concorrenziale degli slot vi obbligherà ad operare precise scelte riguardanti gli approcci con cui intendete affrontare ogni singola missione. Meglio un’unità molto resistente ma scarsamente armata o viceversa? La scelta non è semplice e varia a seconda dei nemici che andrete ad affrontare nel corso delle otto missioni.
…e purtroppo… anche troppo!
Occorre dire che la curva di difficoltà distribuita nel corso dei vari livelli è piuttosto discontinua, per non dire singhiozzante. In particolare le missioni difensivo-protettive di scorta risultano essere intrinsecamente più impegnative. Dover ad esempio abbattere un boss di metà livello entro un dato tempo limite o garantire che una linea di demarcazione territoriale non venga violata è particolarmente ostico e vi costringe spesso a trascurare la difesa del vostro Mech. Contrariamente a ciò, le infiltrazioni nelle infrastrutture nemiche risultano tutto sommato semplici e quasi noiose. Il più delle volte ad accogliervi saranno solo delle torrette difensive automatizzate o dei sistemi di sbarramento fissi.
Discorso simile per quanto riguarda i boss di fine livello. Anche qui, come tradizione comanda per i giochi del tempo che fu, è essenziale studiarne i pattern di attacco e mandarseli a memoria. E’ però innegabile che alcuni di essi, anche avanzati, siano facilmente sbaragliabili quasi senza subire danni. Occorre soltanto una buona dose di perseveranza, non avere fretta nello scontro ed avere il giusto approccio.
Un piccolo plus alla longevità del prodotto è dato da vari gadget, che si possono guadagnare con il sistema di ranking, legato semplicemente ai punti accumulati nel corso del gioco. Nessuno di essi, va detto, altera significativamente l’esperienza di gioco; a titolo di esempio possiamo citare il mirino laser, armi utilizzabili nella modalità allenamento, indicatori supplementari dell’hud, ecc
Il verdetto
Asault Suit Leynos è un gioco che si limita ad un porting molto, troppo pedissequo rispetto alla controparte originale. Con dei livelli in più, magari non lineari, avrebbe tranquillamente fatto la felicità di moltissimi nostalgici dell’epoca d’oro a 16 bit, mentre, al contrario, si limita al compitino. Un’ambientazione di grandissimo appeal, un genere di gioco molto ben definito e collaudato e, non ultimo, la possibilità di disporre di un hardware più avanzato di cinque generazioni rispetto all’originale… tutti ingredienti che avrebbero potuto garantire un genuino successo. Si è invece preferito optare per un’operazione nostalgia, interessante solo per i gamers che desiderano fare un viaggio a ritroso nel tempo di circa venticinque anni, pur impugnando un Dual Shock 4.