Dopo aver parlato abbastanza e in maniera tutto sommato positiva nel giudizio, del remake del primo Crash, in questa nuova recensione toccherà a Crash Bandicoot 2 :Cortex strikes back calcare le scene da protagonista per tentare di strappare lo scettro qualitativo dalle mani del suo predecessore.
Indicato come un’opera più varia rispetto a Crash Bandicoot e dalla difficoltà appagante, l’aspettativa nei confronti di questo sequel da parte del vostro affezionatissimo (?) recensore era discretamente carica di aspettative. Attese montate grazie ai pareri in rete e che sperava vivamente non venissero deluse o ridimensionate neanche un po’ da un gioco non propriamente all’altezza.
Effettivamente, però, il pericolo che l’esperienza con questa nuova incarnazione del franchise non potesse essere così entusiasmante doveva fargli capolino nella mente già da subito dopo la fine della prima avventura del marsupiale: un platform abbastanza divertente e impegnativo ma, come già ampiamente spiegato, alquanto derivativo nelle idee di design, un po’ ripetitivo nelle ambientazioni, legnosetto nei comandi, dalle hitbox non proprio precisissime e avente infine qualche fastidioso difetto prospettico.
Ma a volte la leggenda, determinata dalla forte eco di consenso del pubblico, distorce le prospettive. Capita quindi a volte di dare più credito del dovuto a una produzione e ai suoi seguiti. A una leggenda che è delineata in maniera determinante da dei fattori esterni che aiutano ad esaltare le capacità non propriamente eccezionali del gioco o dei giochi che poi verranno idolatrati. E’ quello che è successo probabilmente al primo episodio della saga del simpatico peramele arancione e quello che è accaduto a chi gli è succeduto: un prodotto, pad alla mano, indubbiamente più completo rispetto al passato e senza dubbio divertente, ma non meritevole dell’aura divina che gli si è creata attorno.
I fattori esterni del successo all’ epoca de “Il ritorno di Cortex”, stordito sonoramente da altri giochi di piattaforme sulla piazza a livello qualitativo come il già citato Super Mario 64, sono probabilmente da ricercare nella pirateria che colpì la prima Playstation, che la rendeva molto accessibile, nell’aspetto e nelle funzionalità cool della stessa e nell’eco della vecchia generazione di videogiocatori che ha contribuito a persuadere le nuove piccole leve a comprare la console Sony perché “forte”, “ganza”, economica per via delle già menzionate modifiche e “diversa dalle altre”.
Nuove leve che probabilmente sapevano ben poco di Super Mario Bros in base alla giovane età. Videogiocatori novelli che possedendo proprio la prima console Sony e dovendo implicitamente trovare un titolo adatto a loro hanno scovato nella mascotte Sony, grazie alla spinta della buona giocabilità e agli ambienti colorati, un’esperienza “originale” e divertente, alimentando di fatto il mito.
Siamo qui però per capire soprattutto dove il secondo gioco firmato da Naughty dog e riesumato da Activision abbia i propri punti di forza interni, cercando di portarli alla luce uno alla volta, con ordine, per stabilirne i meriti indipendentemente dal fenomeno commerciale che ha rappresentato PlayStation. Pronti quindi per zompare da un portale all’altro? Andiamo!
CRASH COLPISCE ANCORA…NELLO STESSO PUNTO
Graficamente questo remake non si distanzia tecnicamente dal primo rifacimento di Crash, presentando la medesima molto buona resa dei poligoni, e dei movimenti che restituiscono un carisma intatto nei vari personaggi a schermo e nei coloratissimi ambienti. E’ lecito concentrarsi, quindi, su quello che offre in più, nell’ ambito visivo, il gioco, esplorandone più attentamente i mondi, i personaggi e i nemici che lo popolano.
Fondamentalmente, cominciando ad analizzare con più cura la varietà dei livelli disponibili, nei 25 mondi proposti in questa nuova iterazione é presente effettivamente un po’ più di eterogeneità generale che apparentemente dovrebbe rimandare a un giudizio positivo in sede di recensione.
Quello che perplime però di questo tipo di varietà ambientale, che non la fa spiccare particolarmente, é collegato alla constatazione che gli sviluppatori abbiano scavato il fondo al barile del primo Crash a livello artistico. Una dinamica che n0n dovrebbe riuscire a restituire in linea di massima, come effettivamente non fa per sua stessa natura, un colpo d’occhio naturalmente variegato, senza artifici di sorta, e quindi convincente in tutto. Ne sono un esempio, in questo senso, due ambientazioni in particolare, suddivise in più livelli: quella legata alle api e quella inerente la giungla di matrice fungina.
Ecco, questi due tipi di scenario, che occupano un buon 2o% degli ambienti totali, non supportano abbastanza differenze negli elementi che sfoggiano al loro interno e nei cromatismi, risultando più che prevalentemente di natura calda, rocciosa e cosparsa in buona parte da fogliame verde.
Inutile dire che a lungo andare un sistema del genere, applicato anche a tutte le altre ambientazioni da esplorare, come già anticipato, porti a una sorta di delusione di fondo che corrisponde inevitabilmente a un interesse più contenuto nell’ approcciarsi a nuovi livelli sui nuovi piani della Stanza del Teletrasporto di Cortex. Una delusione veicolata anche dal fatto che tutti gli stage vengono presentati da portali che li rendono visivamente più indipendenti tra di loro rispetto al passato isolano e più specifico della serie.
Probabilmente un tale metodo legato alla varietà era imputabile alla necessità di produrre con ritmi elevatissimi un gioco della saga di Crash all’anno. Un comportamento sì premiato dal videogiocatore più piccolo e inesperto (ed erano più di quelli che ci si possa immaginare) ma fondamentalmente dannoso in termini di fantasia e di godibilità del prodotto a lungo termine.
Va meglio invece per quanto riguarda la pluralità visiva dei nemici, che ce la fanno a distanziarsi discretamente dalle figure avversarie di stampo mariesco, riuscendo tutto sommato a ritagliarsi una propria identità distintiva. Insomma, spariscono le linee rette tracciate da delle banali tartarughe, per esempio, e compaiono i polpi biomeccanici e i totem squadrati dotati di movimenti dinamici, diversificati e che rimandano alla loro natura. Non male, insomma.
SCIVOLANDO VERSO SUD
Gli aspetti più rilevanti della giocabilità del secondo Crash riguardano, senza dubbio, soprattutto l’integrazione della scivolata e della panciata nel carnet delle abilità. Skill, inserite in un sistema di gioco divertente, che già comprendevano il classico salto e la rotazione. In teoria, la prima delle due nuove aggiunte doveva rendere il titolo più veloce tra un salto e l’altro, allineandosi meglio al comportamento esaltato e pazzoide del protagonista principale. Ahimè invece nei fatti, almeno nelle prime run, pur avendo tra le mani un Crash capace di fare salti più lunghi e di scivolare altresì sotto file e file di casse, abbiamo a che fare con un funzionamento della stessa nuova aggiunta abbastanza relativo, che non riesce a scardinare decisamente il giocatore da un metodo riflessivo causato da passaggi a volte poco intuitivi e letali per essere superati davvero in velocità.
Era probabilmente, in questo senso, arrivato il momento di dotare il peramele arancione di un sistema di difesa più ampio della maschera Aku Aku. Quel sistema che potesse dare coraggio ai videogiocatori nell’affrontare più in velocità i vari livelli di gioco senza aver timore di morire troppo spesso. Almeno nella quantità giusta per godersi meglio un nuovo approccio alle meccaniche più veloce e sgusciante. In questo modo è vero che la longevità del titolo aumenta visto che si deve imparare nel tempo a padroneggiare la nuova scivolata ma si conferma per la seconda volta uno stile di gioco riflessivo almeno per le prime run, già visto in passato.
Passando alla panciata, pur trattandosi di qualcosa di non così pregnante e rinfrescante per la giocabilità del titolo, consistendo praticamente in una variante del salto, è interessante come qualche piccola idea di design legata alla sua applicazione su un certo tipo di combinazione di casse sia interessante, rendendo in qualche modo un pelo più articolate e profonde le sessioni di gioco.
Apprezzabile invece il sentito aumento dei livelli scandagliabili in profondità rispetto all’episodio precedente, che regala nel confronto con il primo Crash , oltre a una prospettiva ritoccata in più punti, un senso di tridimensionalità più accentuato e moderno in base al sempre verde riferimento che a tutt’oggi è il potersi muovere in lungo e in largo liberamente per uno spazio. Grazie anche a delle soluzioni di continuità molto diminuite tra progressione in verticale ed orizzontale delle varie zone, inoltre, si ha a che fare con un senso di continuità tra due e tre dimensioni fluido e abbastanza appagante.
Recanti soluzioni di buon livello risultano anche i livelli aventii vari inseguimenti, che vanno a volte a miscelarsi con mestiere con stage normali, stupendo gradevolmente. Sulla stessa falsariga si trovano inoltre anche i mob presenti, che sfruttano in maniera simpatica le varie abilità del protagonista, prendendo abbastanza le distanze da dei pattern di natura troppo legata alla saga di Super Mario Bros. E’ discretamente passabile quindi vedere come certi nemici ordinari come i già citati polpi siano da affrontare in maniera dinamica ed inedita tra più mosse da eseguirgli contro.
Chiudendo quindi il piccolo paragrafo dedicato agli avversari, si hanno delle boss battle più variegate e libere da affrontare, che sfruttano discretamente tutte le abilità di Crash in maniera intelligente, variabile in certi casi, con i modi e i tempi giusti. Proprio quando ci si stufa, in poche parole, di un pattern avversario, eccone arrivarne un altro a rinfrescare e a rinverdire la situazione.
Cominciando a dare spazio a quello che davvero eccelle nel titolo, provengono notizie più che ottime dalla rigiocabilità e longevità del titolo, coadiuvate molto bene oltre che dai classici percorsi alternativi per collezionare tutte le casse, anche dagli ottimi ed avvincenti “percorsi della morte”che, nella loro difficoltà e nel loro mettere in palio delle gemme, risultano alquanto stuzzicanti. L’incentivo determinante però a collezionare le varie gemme presenti nei livelli è legato al completamento del finale, che in caso si raccogliessero solo i cristalli, risulterà inevitabilmente troncato e non completamente esauriente.
Da accogliere con un certo entusiasmo anche il miglioramento della prospettiva nei vari livelli, che adesso risultano meno fastidiosi in certi frangenti rispetto al primo episodio del franchise.
Un peccato invece risulta la resa di Coco bandicoot, utilizzabile sia in questo che nel primo capitolo ma esente di mosse caratteristiche rispetto a Crash che possano giustificarne l’utilizzo se non a dei meri vezzi legati all’immedesimazione o alla simpatia. Oggi come allora risulta abbastanza superfluo avere una semplice “skin” alternativa al personaggio protagonista ma evidentemente, come in tanti altri giochi, questo particolare continua a fare testo per quanto riguarda la ricezione del pubblico.
MA NON SENTI COME SUONA BENE DA DIO?
Le musiche della seconda iterazione di Crash suonano come molto ben riarrangiate risultando di base migliori rispetto al suo predecessore. Tra tutte le track presenti però spicca in maniera decisamente divertente e divertita il tema principale del gioco, che tramite una overture dalle sonorità particolari riesce a catturare perfettamente il senso di circolarità dei vari portali dimensionali che il nostro eroe si troverà ad attraversare di volta in volta per esplorare nuovi mondi. Ci si sente quindi simpaticamente a casa quando si ascoltano le varie musiche che accompagnano, facendo risultare l’impianto musicale sicuramente molto riuscito.
Risultano anche meno teatrali le voci dei personaggi che, via via che il gioco procede, acquistano una equilibrata naturalezza delle espressioni facendo risultare i vari personaggi parlanti abbastanza apprezzabili.
In conclusione, espandendo il giudizio dato al titolo al principio di questa recensione, Crash Bandicoot 2 è un gioco divertente, limato nella sua legnosità e con delle aggiunte sfiziose, e certamente superiore al suo predecessore. Purtroppo però tutte queste migliorie non lo aiutano sicuramente a pretendere un posto nel gota dei videogames, azzoppate come sono da una certa ripetitività di fondo in ambito artistico, da delle prospettive scomode non del tutto scomparse e da alcune innovazioni che non sono riuscite a rinfrescare in maniera decisa il gameplay.
L’appuntamento, quindi, nonostante l’incompiuta analizzata nell’articolo è rimandato alla recensione di Crash 3…Ovviamente nella speranza che sia la volta buona che la leggenda abbia almeno un fondo di verità.