Per quanto sia un fenomeno esploso oramai poco più di dieci anni fa, il souls-like non accenna assolutamente a smettere di far parlare di sé. Perlomeno, si parla di dieci anni fa se lo indichiamo con questo nome, perché a dirla tutta non dovremmo dimenticarci dell’esistenza di titoli ben più “ancestrali” senza i quali probabilmente non avremmo il souls-like come lo conosciamo oggi e, giusto per variare dalle solite ovvietà, in primis vi sparo il buon Severance: Blade of Darkness di Rebel Act e Codemasters. Se non doveste conoscerlo, shame on you, ed andate a recuperarlo seduta stante. Anche perché o lo fate voi, o non lo farà nessun’altro, dato che non sono qua per parlare delle versioni passate del souls-like agli albori del “genere”, ma di quelle che si stanno ancora sperimentando ed evolvendo nel presente. Come Dark Devotion, appunto.
Vi risparmio il malloppone relativo allo spiegare cosa sia un souls-like, quali siano le sue sfumature, i suoi aspetti principali e così via, dato che come ben saprete il discorso non è semplice, non si può comprendere da una sola prospettiva, ed è anzi talmente sfaccettato da essere stato reso spesso e volentieri un topic sterile in innumerevoli occasioni. Un esempio che rende questa sterilità alla perfezione è Sekiro, su cui sono comunque state spese parole e addirittura stese recensioni trattandolo come se fosse (o forse meglio dire “come se avesse obbligatoriamente dovuto essere”?) il souls-like più puro del mondo, nonostante un gruppo di signori Nessuno noto come FromSoftware abbia specificato in innumerevoli occasioni che mai avremmo dovuto aspettarci un nuovo souls. Ma si sa, FS e Miyazaki non contano quando si parla dei giochi che loro stessi ideano, progettano e realizzano: molto, molto più vitale è il parere dei fan sfegatati, ed ancor migliore è quello dei delusi che si aspettavano qualcosa che, dichiaratamente, non sarebbe mai arrivato. Con queste parole logicamente sarcastiche, forse un po’ dure ma sicuramente obbligatorie, possiamo iniziare a guardare da vicino il concetto di souls-like come Dark Devotion ha deciso di interpretarlo.
Dark Devotion è un progetto indie sviluppato da Hibernian Workshop e pubblicato da The Arcade Crew e Maple Whispering Limited. Trattasi di un action rpg a scorrimento orizzontale, con un’immersiva grafica 2D pixellante dalle atmosfere che possiamo definire difficilmente ottenibili in maniera più tetra, perlomeno quando si lavora con suddetta scelta grafica. Ovviamente, è quasi di troppo sottolineare che presenti una forte identità da souls-like anche nelle sue componenti (oltre che nell’atmosfera) che si sposano con un certo alone di metroidvania. Per rendere più fruibile questa disamina sarò più schematico e meno libero rispetto alle mie solite recensioni, dato che stavolta terrò la parte più “libera” per cercare di esaminare il più analiticamente possibile proprio l’aspetto “souls”. Detto ciò, procediamo.
In Dark Devotion ci ritroveremo nei panni di una sfortunata templare che, riducendo all’osso gli spoiler, si ritroverà in un tempio: luogo adeguato alla sua identità, perlomeno, se non fosse che possiamo definire il tempio in questione con termini non consoni ad un luogo usualmente spirituale e sacro. Se infatti lo volessimo definire malsano, pericoloso, oscuro o demotivante, non sbaglieremmo in nessun caso. In questo tetro scenario, la nostra eroina si ritrova a dover mostrare molta più devozione di quanto la sua vita non l’abbia costretta a fare fino a quel momento. Per farvi capire che non mento affatto, vi basti sapere che la Devozione stessa è addirittura una risorsa utilissima che potremo usare nelle fasi di esplorazione. In questo tempio avremo una lobby in cui poterci preparare a dovere prima di lanciarci nella fase esplorativa, prendere quest, conversare con NPC dalla dubbia sanità mentale, ed altre cose che sicuramente già vi aspetterete se siete un minimo navigati in questo filone. Ma com’è strutturato questo tenebroso progetto? Presto detto.
Partiamo subito col lato pratico: la nostra eroina avrà a disposizione 4 slot per consumabili, due tab da due slot ciascuna per armi (le coppie possono essere due pugnali, spada e scudo, spada a due mani, spada e libro magico, arco e frecce, eccetera al quadrato), e due slot per gli indumenti. Uno di questi ci darà Armatura e l’altro la Salute base stessa, parametri divisi in due barre. Si parte con uno standard di due soli punti per barra, ed attenzione, perché gli attacchi nemici toglieranno un minimo di un punto salute/armatura ciascuno (prestate particolare attenzione alla parola “minimo”, e non dite che non vi ho avvertito al momento del misfatto). Inutile dire che trovare un equip che vi darà ad esempio ben 4 punti armatura, nelle fasi iniziali suonerà un po’ come avere a disposizione Sugar Ray Leonard al torneo di boxe per studenti delle scuole medie. Tranquilli però, spesso e volentieri sarà un’onnipotenza puramente apparente ed illusoria. Gli equip potranno avere diversi effetti su statistiche quali probabilità di colpo critico, probabilità di non andare a segno, ed altri fattori classici che posso sicuramente evitare di elencare. Al di là degli strumenti fisici, tra cui per ultimo abbiamo uno slot per una runa, e dei consumabili, potrete contare su benedizioni – e maledizioni, ovviamente – passive, ottenibili anch’esse durante l’esplorazione. Inoltre, sempre sul piano passivo avremo delle skill davvero peculiari. O meglio, peculiare è la loro identità e soprattutto la risorsa per ottenerle: si tratta infatti dell’unico elemento che non andremo a perdere dopo la morte.
Esatto, se in genere il perdere l’esperienza (o qualunque elemento ne svolgesse il ruolo) è una delle caratteristiche chiave nei souls-like, in Dark Devotion l’unica cosa che non andremo a perdere sarà proprio questa. Tutto il resto, dall’equip, alle benedizioni, ai consumabili, andrà perso nei meandri del dungeon. Invitante indeed. Non disperate però: parecchi equip, specialmente armi, in aggiunta a certi consumabili, saranno sbloccabili nella fase di esplorazione ed ottenibili all’inizio di ogni nuova run (gratis, quindi non osate lamentarvi eccessivamente sull’aura infame del gioco). La morte assume così un aspetto meno oscuro e snervante, per il bene assoluto della nostra persona e probabilmente del nostro monitor.
Manca un’ultima cosa relativa a skill, power up, equipaggiamenti & co., che già vi ho nominato: la Devozione, in lingua originale Praise. Questa risorsa vi sarà enormemente utile, in quanto vi consente di pregare davanti a determinate speciali statue, altari e non solo, che saranno ovviamente di diverso tipo: avrete la possibilità di usare la Devozione per curarvi, per aprire nuove porte, per ottenere nuovi oggetti, e così via. Non potrete accumularla all’infinito, ma è anche vero che potrete “sacrificare” uno spazio per consumabili per tenere qualche pergamena che, se utilizzata, vi rifornirà di nuove unità di questa importante risorsa di gioco. Risorsa che, va detto, spesso può essere una scommessa, specie prima ancora di aver imparato ad identificare gli effetti dei vari suddetti punti strategici dopo aver tirato fuori il vostro lato religioso.
Tutto ciò che vi ho appena citato calza a pennello con il concept e con i ritmi dettati dal gioco, e mi sbilancio nel dire che non ci sia né un elemento di troppo, né uno di meno. Molto infelicemente però, non posso sostenere di aver trovato la stessa qualità nella parte più pratica di Dark Devotion, logicamente il combat.
Il primo problema nasce dal fatto che non si possa cambiare nemmeno un comando, il che ci costringe ad affrontare l’intero gioco, se volessimo utilizzare il joypad, attaccando con il tasto R2/RT. Non sto nemmeno qua a dirvi quanto questa scelta non abbia un benché minimo senso in un combat 2D, e mi duole aggiungere che questo non sia esattamente il peggio. Il combat di Dark Devotion è tanto, tantissimo dipendente dalla vostra stamina, anche troppo, il che rende il tutto non arduo, né semplice, ma monotono e macchinoso. Caratteristica negativa in partenza, e resa oltretutto peggiore dalla vostra lentezza nell’attaccare, anche con le armi più rapide: in questo caso Hibernian Workshop è quasi ingiustificabile, dato che si è sostanzialmente dimenticata di essere nel 2019 e di avere infiniti modi per rendere il tutto più dinamico o variegato. Invece, per quanto mi faccia male dirlo, il combat di Dark Devotion si riduce ad un banale controllo costante della stamina + identificare le finestre temporali per spezzare i pattern avversari, sistema arcaico che funzionerà, ahinoi, specialmente contro i boss, privando moltissime di queste importanti fight di più che qualche grammo di potenziale.
Per difendervi, invece, potrete usare lo scudo per parare, ma la vera protagonista difensiva è assolutamente la schivata, che al contrario delle fasi di attacco ci darà una sensazione estremamente fluida e funzionale. Insomma, sembra quasi che le fasi di attacco siano state affidate ad un team diverso rispetto a quello che ha lavorato alle fasi difensive. Se non altro, questa fantastica capriola riesce a tenere in piedi almeno qualche stanza della baracca di combat system creato. Per quanto fosse già chiaro nel paragrafo precedente, non posso non sottolineare l’enorme difetto dell’aver reso le boss fight (proporzionalmente parlando, ma a volte addirittura nemmeno usando le dovute proporzioni) più semplici del combattere i minion stessi: se mi piacesse scommettere, in questo momento lo farei sul fatto che morireste non più di una volta su 5 contro i boss, con i restanti quattro decessi sparsi per le stanze del malefico tempio.
Riguardo alla fase di esplorazione però, abbiamo parole da spendere tramite toni completamente diversi. La mappa è azzeccata e dark al punto giusto, giustissimo, e la scelta di non poter tornare nelle stanze visitate precedentemente non è affatto negativa come può sembrare a primo impatto. Anzi, rende l’esplorazione più unica, ponderata, e la rende davvero esplorazione nel vero senso del termine: dico così perché in molti altri giochi “colleghi”, specie nei roguelike “multirun”, ci si ritrova a poter esplorare tutte le stanze della mappa ad ogni tentativo, in cui il tour completo si rivela utile o addirittura vitale ad ogni run. Questo porta i suddetti titoli, o meglio, chi li gioca, a scegliere tra avere dei bonus garantiti esplorando per l’ennesima volta le stesse zone, o ad ignorare queste stanze/aree in preda alla monotonia ed assumersi il rischio di procedere meno equipaggiati. Con Dark Devotion questo problema non lo avrete, e se è vero che da un lato finirete comunque con il conoscere la mappa a menadito e a selezionarne le tappe più convenienti, dall’altro è ancor più vero che rimane un sistema che si sposa molto, molto più egregiamente con il concept del gioco, con la sua atmosfera, e probabilmente con il genere stesso. Inoltre, vi consiglio di dimenticarvi il fatto che tutti i drop siano sempre gli stessi.
Anche esteticamente parlando non mi sento di esprimere niente di negativo: Dark Devotion è frutto di una possente maestria nella pixel art, sia nelle figure umane-ish che nelle aree, così come nell’interfaccia e nell’estetica degli equip e consumabili. Stesso discorso non si può fare riguardo al level design, esteticamente eccelso, ma che avrebbe potuto essere estremamente più fruibile e variegato. Rimane comunque un problema molto minore rispetto agli altri, se proprio volessimo definirlo un problema, dato che ad esser franchi si tratta di una situazione da “sarebbe stato bello se”, piuttosto che una da “c’è assolutamente bisogno di”. Un problema per alcuni, invece, potrebbe essere l’assenza della localizzazione italiana. Parlando della componente audio invece, ci troviamo su un piano anch’esso traballante all’apparenza, ma che presto si renderà chiaro essere più che azzeccato con l’identità del prodotto. Dark Devotion non ci offre certo la colonna sonora orchestrale da brivido ad ogni nuova boss fight e non solo, ma allo stesso tempo mentirei nel dire che possa offrire anche solo una minima occasione per lamentarsi della sua realizzazione.
Come promesso, ora posso dedicare l’ultimo spazio ad una parentesi relativa all’identità souls-like del gioco. Come già detto in maniera piuttosto chiara, il termine “souls-like” ha influito negativamente e positivamente sul mondo videoludico: un esempio positivo lo vediamo nel suo impatto nel plasmare nuovi concept da legare ai prodotti futuri, mentre uno negativo è chiaramente il fatto che sia diventato un trend per le masse, che spesso invocano il souls-like senza avere nemmeno un’idea solida di cosa effettivamente sia per loro o in generale, e cosa lo definisca tale. Ovviamente, era chiaro che il fiume del souls-like avrebbe sfociato anche in questa maniera, in quanto sappiamo bene quanto i trend portino il grosso pubblico, sempre di più con il passare del tempo, a peccare di analisi ed oggettività.
Ora, per quanto si possa ovviamente non approvare questo parere, mi prendo la responsabilità di dire che la nascita del termine stesso “souls-like” fosse un po’ gratuita, e che semplicemente avremmo dovuto identificarne le varie caratteristiche e cercare di valutarle con più cura e spirito critico, sia studiandole nel contesto originale che ipotizzandone l’inserimento in prodotti simili, ma non identici. L’assenza di questo approccio analitico la si vede in Lords of the fallen, una copia dei Souls – a mio avviso – oltre il livello spudorato, ed allo stesso tempo una scelta cheap, facile, pigra, che sà tanto di scorciatoia più che di una nuova strada illuminata dalla passione. Discorso nel mezzo si può fare per Salt and Sanctuary, titolo che anche i non amanti del genere potrebbero conoscere a causa del comicissimo, surreale caso della localizzazione italiana inserita: nel raro caso in cui non conosceste questo storico avvenimento, vi consigliamo di recuperare immediatamente, e farvi più che qualche risata genuina. In ogni caso, facciamo un passo indietro dall’off-topic: ho citato Salt and Sanctuary come via di mezzo perché ha chiaramente offerto un prodotto sulla linea dettata dai Souls, riuscendo a rivoluzionarne diverse componenti (a prescindere dal fatto che sia in 2D, quindi letteralmente un tipo di gioco parecchio diverso in partenza), ma peccando nella chiara pigrizia nell’implementarne di altre. Questo perché nelle fasi di sviluppo di SnS è chiaro non ci fosse la volontà di fare un “nuovo Dark Souls che non si chiami Dark Souls” come il sopracitato LotF, ma piuttosto la volontà di adottare alcune caratteristiche chiave del “genere” per mischiarle ad alcune estranee, e provare a dare qualcosa che dia lo stesso feeling seppur in un modo diverso, alternativo. Dark Devotion invece, si è spinto qualche gradino oltre rispetto a questo già buon prodotto, perlomeno nella fase concettuale.
Questo mi porta al mio personalissimo resoconto: il souls-like finisce con l’essere spesso un fenomeno che impatta più il feeling che si prova durante le fasi di gameplay, che un’insieme di meccaniche. In Dark Devotion non si perdono le anime, non ci si siede al falò per riempire le fiasche, non ci si può perdere nello sperimentare diverse build, e tanto non-altro. Questo non porta minimamente il giocatore a sentirsi meno partecipe di un souls-like, anzi, renderà chiaro specialmente ai più attenti che i souls non siano esattamente dipendenti esclusivamente dalle meccaniche adottate. Un esempio davvero chiaro lo si può fare nel campo della musica elettronica e nei suoi affini, con l’esempio più eclatante nella dubstep: in questo caso, il grosso degli ascoltatori non si è soffermato ad analizzarlo, ed ha finito ad attribuire il genere a qualsiasi singola traccia, di qualsiasi artista, che avesse anche solo un “wobble” sparato a caso nel ritornello.
Insomma, non dico niente di nuovo se sottolineo il fatto che stiamo vivendo una realtà che non ci offre certo la mancanza di sfaccettature presente trent’anni fa, e limitarci alle etichette un po’ troppo generalizzanti è, oramai, quasi sempre un grosso sbaglio, in quanto nel farlo si finisce spesso con la soppressione/limitazione dell’analisi e dello studio di ogni singolo prodotto. Detto ciò, mi sbilancio nel dire che i ragazzi di Hibernian Workshop, sebbene non siano riusciti ad offrirci un combat degno di questo prodotto, hanno decisamente fatto un gran bel lavoro nella fase di ideazione e nella successiva realizzazione. Dark Devotion abbatte alcuni canoni per far capire agli utenti che il souls-like è un concetto più variegato rispetto a come siamo abituati a percepirlo, e getta tante nuove pietre per rendere i progetti futuri basati su questo filone ancora più interessanti e sfaccettati: decisamente ciò di cui il fenomeno dei souls-like ha bisogno.
Logicamente, siete liberi di concordare o meno su questa riflessione, e siete anzi invitati ad esprimere il vostro parere nei commenti. Ovviamente, se doveste farlo dopo aver provato Dark Devotion, tanto di guadagnato.