Con God of War, Horizon Zero Dawn, Marvel’s Spider-Man e Uncharted 4, negli ultimi anni Sony ha consolidato la sua posizione come uno dei principali publisher di videogiochi per giocatore singolo di questa generazione.
Sony ha menzionato per la prima volta il gioco che sarebbe poi diventato Days Gone alla fine del 2015, quando Scott Rohde, capo della divisione PlayStation Game Development, si è riferito al prossimo gioco di Bend Studio come il suo “momento luminoso”. Meno di un mese dopo, Sony ha registrato il marchio “Days Gone”.
L’annuncio ufficiale sarebbe arrivato più tardi nello stesso anno, durante la conferenza stampa E3 2016 di Sony. Durante la conferenza siamo venuti a conoscenza del protagonista Deacon St. John (interpretato da un attore e doppiatore di alcuni titoli di Star Wars, Sam Witwer), nonché ad uno degli aspetti più interessanti della produzione: le orde di creature simili a zombi chiamate Freakers.
Dalla sua rivelazione all’E3 2016 ho avuto diversi pareri contrastanti verso Days Gone, finchè sono entrato in un loop di disinteresse-hype infinito. Si tratta di uno (zombie) freaker game. Fino a qui ci siamo. È una grande avventura open world. Tutto a posto. Ha un’importante componente di gestione delle risorse e survival. Certo, fantastico – ma, alla fine dei conti, cosa è Days Gone? Sarà riuscito a rispettare l’altissima qualità dei titoli first-party di Sony? Dopo diverse ore in giro per il Farewell, ecco la nostra opinione.
Guerrilla Games ha guadagnato molto in termini di qualità quando è passata dai corridoi lineari di Helghan di Killzone: Shadow Fall alle vaste distese aperte di Horizon: Zero Dawn, ma Sony Bend Studio ha davvero corso il rischio nel fare uno dei più grandi balzi nella storia videoludica con la sua nuovissima proprietà intellettuale apocalittica Days Gone. Negli ultimi 15 anni, l’azienda con sede in Oregon ha lavorato quasi esclusivamente su titoli portatili e, mentre si potrebbe sostenere che Uncharted: Golden Abyss, uno dei titoli di lancio di PlayStation Vita, abbia dei valori di produzione di un gioco AAA su console, la realtà è che l’avventura di Deacon St. John in un mondo pieno di non morti è il progetto più grande ed ambizioso dello studio nei suoi oltre 20 anni di storia.
La pressione deve essere stata immensa per Sony Bend: il gioco segue una serie di titoli di altissimo valore produttivo, tra cui God of War (Game of The Year dello scorso anno), Detroit: Become Human e Marvel’s Spider-Man. Ma, dopo una quarantina di ore passate con il loro titolo, posso tranquillamente dire che l’ex studio di Syphon Filter è stato all’altezza della situazione, ed anche se questo survival horror open world non ha la stessa creatività di alcuni di questi, è in grado di farvi sentire subito a vostro agio, e sicuramente soddisferà anche il giocatore più esigente.
È arrivato il momento di parlare della storia del titolo di Sony Bend Studio. Il protagonista assoluto di Days Gone è Deacon St. John, un personaggio schivo e taciturno, assieme al quale passeremo almeno una trentina d’ore di dolorosa e malinconica sopravvivenza. Il gioco parte con una cutscene, in cui sul tetto del palazzo si consuma un arrivederci dal sapore di addio: Deacon saluta sua moglie, le dona il suo anello, e le dice che pretende di riaverlo quanto prima. Adesso è facile capire perché, nei momenti di attesa, saremo in compagnia di quell’anello che gira, ruota, ci ricorda il senso di tutto.
Parte così l’open world Days Gone, mettendoci subito nella prospettiva di un legame affettivo perduto, di una persona che ha un motivo molto semplice e preciso per lottare ancora. Dopo questo frammento di passato, saranno soltanto asfalto e foreste in cui muoversi come predoni alla ricerca di materie prime come armi, benzina, cibo e oggetti di ricambio. Ammesso che i Furiosi (in lingua originale chiamati Freakers in modo più suggestivo), immonde creature trasformati dal virus in mostri erranti, siano d’accordo.
Ogni apocalisse mette fine al coraggio. Perché chi resta, chi rimane, chi è costretto ad abitare in uno scenario post-apocalittico fa tutto perché deve farlo, mosso soltanto da quella molla chiamata disperazione, da un istinto animalesco di sopravvivenza. Già dalle prime ore di gioco si intuisce che sono le scelte fatte a determinare che tipo di persona sia diventata il nostro protagonista. Lo vediamo ammazzare furiosi con dimestichezza, impugnare ogni tipo di arma, fabbricare molotov, maneggiare mazze da baseball con disinvoltura. E poi ammazzare un uomo (non senza un pizzico di rammarico riflesso nei suoi occhi). Perché, come altri racconti post-apocalittici ci hanno insegnato così bene, sono sempre gli umani il nemico più pericoloso da affrontare. Forse Deacon con la violenza ci ha sempre avuto a che fare. Forse è un territorio che conosceva bene anche prima che il mondo andasse a pezzi.
Laddove altri hanno preferito trincerarsi dentro accampamenti di fortuna, Deacon (in compagnia di un fedele compagno di scorribande su strada) preferisce errare, vagabondare, spostarsi e muoversi per mantenere intatto un legame con la vita di prima. Moto, tatuaggi, smanicati, anelli: è evidente che Deacon facesse parte di una banda di biker. Ed è facilmente osservabile che ne abbia ereditato il codice morale assieme a un sistema di valori utili in una situazione così disperata. Proprio come Jackson “Jax” Teller, il protagonista di Sons of Anarchy, il nostro Deacon è scisso tra una vita privata in grado di mostrarci il suo lato più sensibile e una fiera esistenza da biker duro, ispessito, impermeabile.
Per quanto riguarda la storia del gioco, non ci addentreremo ulteriormente. Possiamo solo dire che nel nostro peregrinare incontreremo vari personaggi, anch’essi ben caratterizzati e contestualizzati nella trama e nel mondo di gioco.
Nel gioco sono presenti più finali, che potranno essere determinati dalle azioni che i giocatori compiranno nel corso della loro avventura. Azioni che avranno ripercussioni anche sugli NPC: saremo noi a determinare il destino di alcuni personaggi non giocanti, meccanica che apprezzo molto dato che permette di rendere “nostra” l’intera esperienza di gioco. Saremo sempre noi gli artefici della storia e non soltanto lo scrittore della sceneggiatura…sì, uno scrittore, perché le trenta e passa ore di storia del titolo sono state messe su “carta” da una singola persona. Quando parliamo di missioni principali, è bene precisare che Bend Studio ha curato nei minimi particolari anche le missioni secondarie: ognuna di queste è comunque legata alla trama del gioco. Posso confermare che nell’esclusiva PlayStation 4 non ci sono le odiatissime fetch quest, ovvero quelle missioni inserite spesso “per allungare il brodo”. Ovviamente alcune missioni sono più interessanti di altre, ma è davvero bellissimo vedere come tutte le varie sottotrame sono collegate, andando a delineare una storia corale di sopravvivenza in un mondo duro, in cui non è facile vivere.
Per quanto riguarda il gameplay, Days Gone è un open world piuttosto classico: si gira per la mappa, si affrontano quest primarie e secondarie, si potenzia il personaggio, si raccolgono materiali per il crafting ecc. Sony Bend non ha di certo reinventato il genere. Ci saranno missioni secondarie e facoltative che si sbloccano girovagando per la mappa di gioco, in cui dovremo liberare dei nidi di furiosi così da diminuire il loro numero nella zona, dovremo smantellare qualche fortino di nemici umani, e così via.
Ovviamente ci sono anche dei veri e propri accampamenti di sopravvissuti, persone che cercano in tutti i modi di andare avanti, di organizzarsi e di dare lavoro o uno scopo a qualsiasi altra persona. Questi personaggi ci daranno missioni, o ci permetteranno di comprare oggetti e armi o potenziare la nostra moto. Il completamento di missioni specifiche di ogni accampamento farà in modo di aumentare la fiducia, un elemento che ci permetterà di avere accesso a migliori oggetti dai mercanti. Un elemento molto interessante è la possibilità di reclutare alcuni sopravvissuti che si incontrano per la mappa: se riusciremo ad aiutarli e salvarli, potremo decidere a quale accampamento inviarli. Questo avrà un grande impatto sul gioco, perché gli accampamenti sono di diversa natura. Ad esempio, uno di questi sarà focalizzato nel fornire a Deacon armi migliori, mentre altri ci permetteranno di fare modifiche sempre migliori alla nostra moto. Mandando una persona in un determinato campo, faremo aumentare la fiducia, quindi la pianificazione su dove inviare un sopravvissuto diventerà cruciale.
In un mondo dominato dalla sopraffazione e dalla diffidenza, è impossibile fidarsi di qualcuno. Ecco perché la migliore amica di Deacon è la sua fedele motocicletta, una componente essenziale sia per la trama che per il gameplay vero e proprio. La cura e la personalizzazione della due ruote darà vita a un rapporto simbiotico degno di un cowboy e del suo destriero.
Il mezzo è un aspetto fondamentale per quanto concerne gli spostamenti, sia su strada che off-road, e deve essere tenuto con cura. Non solo è necessario assicurarsi che il serbatoio sia sempre pieno (trovando letteralmente taniche di benzina), ma anche recuperare qualche pezzo di ricambio dai veicoli che si incontrano in giro è una buona idea, in modo da poter effettuare riparazioni in caso di bisogno.
Proprio come avviene con Rutilia, la giumenta di Geralt in The Witcher, il nostro destriero meccanico è ben più che un mezzo di trasporto. Si tratta infatti di una fedele compagna di viaggio, che possiamo personalizzare in vari componenti così da migliorarne la resistenza e la velocità generale. La si può modificare anche a livello estetico, così da renderla davvero personale ed unica.
Per quanto riguarda i controlli del mezzo, posso dire che all’inizio la motocicletta di Deacon sembra più uno stallone imbizzarrito che un docile pony. Gli sviluppatori sono riusciti a dare l’idea della pesantezza del mezzo anche alla guida, con controlli difficili da padroneggiare (almeno inizialmente). Altra nota importante per far capire quanto sia fondamentale la moto nel gioco è che si può salvare solo quando si è vicini ad essa, cosa che non si può fare ad esempio negli accampamenti (anche se si è in pratica in una safe zone).
Una volta arrivato nei pressi di una zona di interesse, il protagonista può smontare e dare un’occhiata in giro. Qui entra in gioco un’altra meccanica già ampiamente collaudata in altre produzioni, ovvero la “Survival Vision“, quello specifico filtro visivo che evidenzia con colori accesi tracce o impronte, permettendo di seguirle comodamente. In questo gioco è stata adeguatamente motivata anche a livello narrativo, proprio come è stato fatto per lo strigo di The Witcher e la coraggiosa Aloy di Horizon: Zero Dawn, in quanto il protagonista, a contatto da sempre con la natura e grazie ad insegnamenti passati, ha ottenuto nel corso degli anni particolare dimestichezza con le impronte degli animali e la ricerca di indizi.
Per quanto riguarda gli scontri, la struttura è quella di un tradizionale TPS con coperture da sfruttare tra una raffica di proiettili e l’altra.
Il gioco sembra offrire un numero di proiettili discreto con il quale potremmo difenderci…se non fossimo bloccati dalla consapevolezza che un rumore di troppo significherebbe attirare attenzioni sgradite. Ecco allora che la strada in discesa offerta da un proiettile si trasforma in una salita insidiosa. Days Gone mette in mostra una notevole pletora di possibilità per quanto concerne l’approccio al combattimento. Ad esempio, è possibile affrontare le minacce a muso duro, andandogli incontro con le armi spianate e facendo fuoco a volontà, magari rifugiandosi di tanto in tanto dietro a qualche riparo. I più scaltri, invece, potranno appostarsi all’ombra di qualche cespuglio e attendere il momento buono per sorprendere alle spalle un ignaro bandito, e spezzargli il collo senza farsi notare.
Terminiamo la panoramica del gameplay menzionando una barra del vigore che si consumerà correndo, schivando e compiendo altre azioni “faticose”, rendendoci impossibile l’utilizzo di queste ultime una volta svuotata la barra in questione. Quindi dovremo stare sempre attenti a non sprecare vigore quando non necessario, in modo da non rischiare di essere a secco nei momenti più delicati.
Nel gioco è presente anche una componente da gioco di ruolo, l’albero delle abilità di Deacon, tramite il quale sarà possibile potenziare tre caratteristiche principali: attacchi a distanza, corpo a corpo e sopravvivenza. Quest’ultima tra l’altro permetterà di attivare un bullet time per le sparatorie (della durata di pochi secondi), e di potenziare la vista aumentata di Deacon, che gli permette di vedere le traccie sul terreno ed inseguire eventuali bersagli. Si ottiene esperienza compiendo praticamente qualsiasi azione nel mondo di gioco come completare missioni, uccidere qualche furioso oppure cacciare qualche animale.
Oltre alle abilità vere e proprie potremo migliorare la salute, il vigore e la durata della concentrazione tramite delle siringhe che troveremo negli avamposti della NERO, un’organizzazione scientifica/militare che ricoprirà un ruolo fondamentale anche a livello di trama. Questi avamposti dovranno prima di tutto essere liberati da alcuni furiosi, e poi dovremo riattivare la corrente per potervi accedere, così da recuperare la preziosa siringa, qualche materiale, e un registratore che ci permetterà di approfondire alcuni eventi durante l’inizio dell’epidemia.
Pad alla mano, la prima cosa che si nota è la fluidità dei controlli. Tenere un basso profilo e uccidere i Furiosi non è mai stato così immediato, e la mappatura dei comandi non lascia mai in dubbio su quale pulsante sia necessario a compiere una determinata azione.
Quello che inoltre ci ha colpito davvero in maniera positiva è l’atmosfera sporca in cui è ambientata questa storia di rottami, sopravvivenza e paura. Attraverso una regia dinamica, che alterna adrenaliniche sequenze action e momenti di quiete esplorativa, Days Gone ci porta per mano dentro un mondo duro in cui muoversi è l’unico modo per non marcire. Proprio come i protagonisti di The Walking Dead, resettati dopo l’apocalisse, anche Deacon viene messo alla prova nelle scelte morali, sempre davanti a un bivio che insegue il giocatore durante le fasi di gameplay.
Dopo poche missioni si comprende il mondo di gioco, dominato da un contrasto perenne e feroce: brutalità e bellezza, violenza e quiete. Se la natura umana è ormai compromessa, la Natura domina la scena con gli incontaminati scorci di un Oregon ancora rigoglioso e verdeggiante. Il che rende il paesaggio il vero co-protagonista della storia. Non ancora arresa alla fine, la Natura si fa contemplare, concede a Deacon attimi di riflessioni per ragionare sui suoi giorni “andati” e sulla propria natura, forse ancora aggrappata a un pizzico di umanità.
L’Oregon che fa da sfondo all’avventura è ottimamente caratterizzato, con scorci davvero mozzafiato. Il clima mutevole, i biomi differenti, l’alternanza giorno/notte: tutto influenza una lotta per la sopravvivenza che non è così scontata. Il meteo dinamico è davvero stupefacente, dalle piogge torrenziali fino a passare a nevicate che imbiancano tutta una porzione di mappa, si ha davvero la sensazione di essere in un mondo vivo.
Poco dopo l’inizio del gioco, ci si rende subito conto quanto il numero di infetti presenti in giro sia superiore alla media cui ci hanno abituato molti altri giochi, ma soprattutto di come la nostra interazione con l’ambiente sia alla base di una lotta che ci vede partire in svantaggio. Il ciclo giorno/notte è estremamente importante anche a fini ludici, visto che al calar del sole le creature affette dal virus appariranno in maggior numero e saranno molto più fameliche, con ripercussioni dirette anche sulle missioni secondarie, più semplici o complicate a seconda dell’orario, e delle condizioni climatiche in cui decideremo d’affrontarle.
In tutto questo, un ruolo fondamentale lo andranno ovviamente a ricoprire i nemici che andremo ad affrontare in-game, con una varietà generale più che apprezzabile. Dovremo affrontare umani, fauna, e freakers di ogni genere e dimensione. Non esiste infatti una sola categoria di Furiosi, e gli sviluppatori hanno osato fare qualcosa che non si vede comunemente, per non dire mai, in un videogioco. Hanno concretizzato il fatto per cui nessuno è immune al male, nemmeno i bambini, e sebbene non venga detto chiaramente, basta guardare con attenzione queste sfuggenti creature per capire chi siano in realtà. Sfigurati dall’infezione, ci evitano forse un disagio scomodo in un mondo che non ha risparmiato davvero nessuno.
Lo stesso discorso vale per i nemici umani perchè, come accennato in precedenza, non ci dovremo preoccupare solo dei furiosi. Soprattutto di giorno, capiterà spesso di imbattersi in qualche predone o membro di una setta (i cui componenti hanno della caratteristiche cicatrici lungo tutto il corpo). Concludiamo l’analisi con una menzione sull’IA dei nemici. Piuttosto basilare e imprecisa, facilita molto gli scontri a fuoco così come la gestione di gruppi più numerosi di avversari.
Fin dalla sua presentazione nel 2016, l’attenzione del pubblico verso Days Gone è dipesa dalle orde di Freakers che riempiono lo schermo di centinaia di nemici, tutti pronti a catturare (e a divorare) il protagonista. La prima cosa da capire sull’Orda è che non è solo un grande gruppo di nemici che potete trovare in una missione specifica. Mentre ci sono tre orde che appaiono durante alcune missioni particolari, ce ne sono 40 in totale per girovagano per il mondo di gioco, ognuna della quali conta tra i 50 ed i 500 furiosi.
La maggior parte delle orde sono costituite da furiosi comuni. Come spiegato prima, da soli o in piccoli gruppi, sono abbastanza gestibili, Deacon può ucciderli furtivamente, con combattimenti corpo a corpo, o con armi silenziate. Ognuna di queste azioni richiede che ogni freaker abbia una sua complessa intelligenza artificiale e animazioni uniche. Come potete immaginare, mettere fine a 500 di queste creature in un unico posto è praticamente impossibile per la tipologia di gioco che è Days Gone, in relazione anche alle nostre armi. Il primo “trucco” usato dagli sviluppatori per ottimizzare l’orda è stato quello di eliminare quasi tutte le funzionalità individuali di ogni infetto, e realizzare in pratica un IA condivisa. Ogni orda che incontrerete è composta da piccoli “gruppi”, sottogruppi da un minimo di 20 fino a 50 o 60 (o forse anche 100 per le orde più grandi) freakers sparsi in una determinata zona.
I Freakers sono in grado di percepire, oltre ai suoni ed i versi emessi dai propri simili, i feromoni. Questo spiega il modo in cui si organizzano in gruppi, e come funziona l’IA di ogni singolo nemico in un gruppo così numeroso: inviando segnali tra gli individui attraverso lo sciame. La cosa impressionante è anche la varietà dei vari modelli dei nemici che differiscono per statura e corporatura, rendendo l’orda un vero spettacolo visivo, e riuscendo a trasmettere ansia e paura al giocatore.
Anche l’orda seguirà più o meno dei percorsi specifici, e sarà influenzata dal ciclo giorno/notte e dalla presenza di Deacon o qualche altro nemico umano. L’orda è selvaggiamente imprevedibile e davvero devastante se la si affronta impreparati e nelle fasi iniziali di gioco. Posso però confermare che non è impossibile da distruggere se si usano le varie granate, trappole ed armi che si hanno già dopo qualche ora di gioco.
Chiude il tutto un comparto tecnico d’ottimo livello, con un colpo d’occhio generale capace di regalare scorci splendidi e una modellazione di personaggi e creature d’alto livello. Sul versante squisitamente tecnico, posso tranquillamente dire che Days Gone abbia compiuto un salto di qualità importante rispetto a quanto visto precedentemente tramite trailer e video di gameplay, e dopo la mia prova della demo durante la Milan Games Week. Seppur persistano problemi di pop-in per alcuni oggetti più lontani all’orizzonte e la presenza di qualche texture di bassa qualità, la versione modificata dell’Unreal Engine 4 utilizzata da Bend Studio e Sony restituisce modelli poligonali ben costruiti e particolareggiati. Convince pure il dettaglio dei nemici e dei personaggi secondari, mentre il tutto rimane macchiato da una generale assenza di “maniacale pulizia” che si può invece riscontrare in altre esclusive per PlayStation 4.
L’unica vera svista a livello tecnico è che le cutscenes non sono consequenziali alle scene in controllo di Deacon, il che può sembrare secondario, ma rende poco fluide le transizioni tra gameplay e cinematiche. Sfortunatamente per Sony Bend, titoli come God of War hanno spinto il settore in avanti in questo ambito, e vedere una schermata nera di caricamento (di qualche secondo) per attendere una cutscene può rendere il gioco stranamente antiquato. Oltretutto, la stessa cosa avviene quando il filmato sarà terminato e dovrà ripartire il gameplay. Sembra già che con la patch del Day One questo problema sia stato per lo meno diminuito, quindi probabilmente sarà completamente risolto con patch future.
Non è da sottovalutare anche la colonna sonora: è curatissima, sempre adeguata, e in grado di sottolineare la drammaticità di alcune scene, l’epicità di altre, e la tenerezza che avvolge i tanti flashback che coinvolgono la sfortunata moglie del protagonista. Il doppiaggio italiano si attesta su ottimi livelli di recitazione, anche dei personaggi secondari.
Days Gone è esattamente quello che vi sareste aspettati, ma forse è un modo riduttivo di raccontarvi il gioco. I valori di produzione sono quasi alla pari con altri studi proprietari di Sony, il che è impressionante se si considera il curriculum di Bend Studio prima di questo gioco. Il gameplay inoltre è davvero vario ed appagante, con risorse limitate che danno un vero senso di tensione ad ogni singolo incontro, indipendentemente dal fatto che siano con i vivi o i furiosi. La motocicletta aggiunge un tocco unico alla produzione. Il comparto tecnico ed artistico, unito ad una bella storia raccontata in maniera cinematografica, completa un videogioco di altissimo livello. Magari non reinventerà il genere e non sarà all’altezza di altri titoli first-party di Sony, ma l’avventura di Deacon St. John è sicuramente un’esperienza che tutti i possessori di una PS4 dovrebbero provare.