E gli Americani vincono!
Mi perdonerete spero l’aver aperto questa recensione, una delle – se non la – più delicata dell’anno, con una citazione del maestro Yotobi, direttamente dal video sul MCU. È naturalmente un modo scherzoso per dare il via alla discussione su uno dei titoli più divisivi (e ben prima dell’uscita) dell’ultimo quinquennio, ossia Death Stranding. La citazione non è ovviamente stata scelta a caso, in quanto il nostro caro Hideo Kojima, come la maggior parte dei suoi compatrioti, sembra avere particolarmente a cuore la sorte del continente nordamericano (che, quasi ironicamente, sembra proprio essere quello che ha accolto più freddamente questo titolo).
L’istanza infatti principale di Death Stranding è questa: l’America deve sopravvivere, perché l’umanità sopravviva. E l’unico modo per sopravvivere, nel mondo costruito da Kojima Productions, è restare connessi. Con se stessi, con gli altri e con il passato. Che cos’è infatti il passato se non ciò che davvero ci rende noi stessi? E che rende una comunità ciò che è?
Non è naturalmente semplice parlare di questo titolo in questo momento, in parte perché chiaramente in ritardo rispetto alle recensioni già uscite ben prima del day one, in parte perché è evidente quanto i giocatori stessi, oltre alla critica, siano divisi nel discuterne.
Comunicazione
Ma partiamo da una considerazione: Death Stranding è stata un’opera incredibilmente dibattuta fin dal suo annuncio del 2016 con il breve ed enigmatico teaser che tutti voi ricorderete. Questo è avvenuto per diversi motivi: in primis perché – diciamoci la verità – nessuno aveva capito nulla di ciò che aveva appena visto, in secondo luogo a causa del fatto che naturalmente si trattava del primo progetto importante firmato da Hideo Kojima dopo il divorzio con Konami e la creazione della Kojima Productions. Si tratta comunque di avvicendamenti assai noti, quindi non mi dilungherò.
Quello che vorrei sottolineare è il fatto che già di partenza Death Stranding si è rivelato un fenomeno unico, diverso, forse irripetibile. Questo per i motivi sopracitati, ma anche per un semplice fatto: dietro Death Stranding non c’è semplicemente uno studio di sviluppo, ma c’è un autore, un unico personaggio che si fa portatore dei suoi messaggi, o per lo meno di quelli che decide di trasmettere al pubblico, spesso anche provocandolo intenzionalmente. Kojima inoltre non è solo un autore di videogiochi, ma è ormai una sorta di “influencer”, seguitissimo sui social e che ha deciso di restare sotto i riflettori e condividere col pubblico molto altro, al di là del suo lavoro di game designer. E questo comprende naturalmente, oltre alla condivisione delle sue attività anche giornaliere, l’emergere di un certo egocentrismo, di desiderio di mostrare la propria persona, che però gli si è in passato concesso a causa anche della sua capacità di regalare al mondo una cosa come la Metal Gear saga.
In questo caso però c’è stato qualcosa di diverso, considerata anche l’importanza e l’evoluzione dei social negli ultimi anni, e ormai da tre anni a questa parte quasi non si è smesso di parlare di qualcosa di cui non si è saputo quasi nulla se non negli ultimi mesi, con i primi gameplay mostrati. Tra chi idolatrava Kojima e si aspettava il capolavoro del decennio e chi invece sparava a zero, il “purché se ne parli” ha fatto in modo che Death Stranding si sia trasformato in uno dei lanci più attesi, non solo dell’anno. È assolutamente vero che senza la presenza di questa personalità, che – sia chiaro – ha guadagnato la posizione in cui si trova grazie al suo lavoro, non si sarebbe scatenato questo polverone. Ma è altrettanto vero che non si può parlare del gioco senza considerare nell’equazione lo stesso designer, nel bene e nel male che questo fatto comporta. E, infine, concludo questa breve disamina dicendo che non ha alcun senso discutere del “se non ci fosse Kojima allora Death Stranding…” per il semplice fatto che, se non ci fosse, Death Stranding semplicemente non esisterebbe.
La posizione raggiunta dal game designer giapponese gli ha concesso diversi elementi a disposizione: il sostegno incondizionato di Sony, il Decima Engine donato da Guerrilla Games e la possibilità di reclutare un cast di attori incredibile, che hanno concesso corpo e per la maggior parte voce ai personaggi. Anche questo ha naturalmente comportato la creazione del fenomeno, aggiungendo all’equazione l’amore incondizionato che lo stesso Kojima ha nei confronti del cinema e che in questo titolo, come lo fu in ogni caso per la Metal Gear saga, emerge come non mai. Non tutti sono d’accordo con la commistione dei media e dei loro linguaggi, io in primis, tuttavia la sperimentazione può spesso regalare prodotti unici, che forse non saranno mai la prassi, ma che possono essere in grado di segnare indelebilmente una generazione. Quello che però Kojima Productions ha fatto con Death Stranding è stato ben più di questo.
Ludens
E sì, ora finalmente possiamo iniziare a parlare del videogioco. Perché Death Stranding è questo: un videogioco, in tutto e per tutto. Coloro che lo hanno accusato di non proporre gameplay ma di essere un “film interattivo” dovranno ricredersi e alla grande. Al di là dei gusti personali, il titolo propone un gameplay complesso, profondo e incredibilmente curato, che si evolverà in continuazione davanti ai vostri occhi.
Il cuore pulsante del gameplay di Death Stranding è quello simulativo: il nostro Sam “Porter” è un vero e proprio corriere, entità fondamentale in una realtà in cui le comunicazioni e i contatti sono stati irrimediabilmente recisi dal fenomeno dello Stranding, che ha completamente sconvolto e alterato il mondo e reciso contatti e comunicazioni. Le risicate comunità rimaste fanno affidamento su compagnie organizzate che inviano i propri corrieri ad accettare e completare ordini, costretti ad attraversare lande desolate e pericolose con pochi mezzi a disposizione. Sarà in questa formula che lo stesso Sam sarà chiamato ad intraprendere un viaggio per (ri)costruire la rete perduta.
Tutto questo si traduce in game in una complessità di elementi da gestire, dal peso del carico trasportato, alla sua disposizione, alla scelta della limitata attrezzatura da portare con sé. Il mondo esterno in cui ci dovremo avventurare è infatti desolato e inospitale, irto di ostacoli e pericoli che potranno trasformare una “semplice” consegna in un completo disastro. Ogni tasto ha la sua funzione specifica e bisognerà prestare particolare attenzione all’equilibrio di Sam nelle varie situazioni, per evitare di cadere rovinosamente al suolo, rischiando di danneggiare il prezioso carico. Quest’ultimo potrà essere di diverse tipologie e pesi, oltre che quantità e fragilità e ogni volta bisognerà valutare tutti i dettagli nella pianificazione del nostro itinerario da un punto all’altro. Nel farlo ci viene in aiuto la mappa, indispensabile per valutare gli eventuali ostacoli ambientali e che ci permetterà di posizionare utilissimi punti di navigazione personalizzati. Fondamentale anche il cosiddetto “odradek”, ossia lo scanner, che ci aiuterà ad essere consapevoli dei nostri dintorni, con informazioni sulla conformazione del terreno e non solo. La maniacalità nella realizzazione di questo sistema emerge ad ogni passo, dal menù di preparazione delle “missioni”, alla complessità dell’ambientazione, ai deterioramenti del carico, ad ogni singolo piccolo evento ed animazione in game. I comandi risultano in generale ottimamente responsivi, a parte qualche piccola incertezza e macchinosità nelle fasi di carico/scarico. Nella natura “simulativa” emergono poi altri elementi a cui sarà necessario prestare attenzione, come la stessa cura di Sam, che avrà bisogno di riposare e riprendersi dalle fatiche, grazie alla presenza di speciali alloggi dedicati. Dovremo monitorare il suo vigore, visualizzabile nella classica barra, e la sua “vita”, misurata in ml di sangue (ne capirete poi il motivo), oltre che lo stato del nostro compagno di viaggio, il mitico Bridge Baby, con cui sarà possibile interagire in diversi modi.
Il quadro sopra composto viene dunque in aiuto nel momento in cui si cerchi di accusare Death Stranding di essere in sostanza un contenitore di “fetch quest”, sia principali che secondarie. Il giocatore è spinto anche dalla curiosità di cosa troverà a intraprendere tutti gli incarichi proposti, anche i più modesti, per migliorare la connessione tra luoghi e persone, in una sensazione di timore e curiosità per l’ambiente che vi circonda e le zone ancora inesplorate o alla ricerca del percorso migliore, il tutto condito dall’effettiva fatica che proverete vedendo il povero Sam caricarsi sempre di più e affrontare terreni sempre più impervi. Ma la natura di “gioco” viene in soccorso anche in questo caso, assegnando ad ogni quest completata un vero e proprio punteggio, che vi farà letteralmente aumentare di livello, ottenendo alcuni premi e miglioramenti.
Come già detto precedentemente, nel proseguire lo stesso gameplay si evolverà davanti ai vostri occhi: si sbloccheranno ulteriori strumenti e mezzi che potranno facilitarvi la vita e all’equazione si aggiungeranno fasi stealth e di azione vera e propria tra combattimento melee e shooting. Niente di canonico però, perché gli strumenti a vostra disposizione saranno più peculiari che mai. Ma non entrerò nello specifico, per non anticipare troppo. Anche la scoperta stessa delle sfaccettature del gameplay risulta infatti essere una vera e propria sorpresa, dopo un inizio lento che potrebbe scoraggiare molti a non proseguire. E che tuttavia è sostanzialmente un marchio di fabbrica di chi sta proponendo il gioco. Siatene quindi consapevoli.
L’impatto iniziale con i comandi di gioco e l’interfaccia potrebbe risultare in parte disorientante, a causa della quantità di informazioni da elaborare e immagazzinare. Non sarà forse semplicissimo prendere subito la mano con tutti gli elementi, ma il gioco è costruito per accompagnarvi soprattutto nelle fasi iniziali (parlo almeno di una decina di ore, stando stretti). In questo senso purtroppo Death Stranding pecca in un obiettivo che si era posto: quello di essere accessibile anche a chi di videogame non mastica nulla. Nonostante l’inserimento della modalità Molto Facile, il gioco risulta tutt’altro che “user friendly” non tanto per il gameplay vero e proprio, ma piuttosto a causa della complessità dei menù e della quantità di informazioni che vengono riversate sul giocatore. Cosa che, per qualcuno che non ha mai o quasi mai giocato, potrebbe risultare davvero troppo. E forse è un po’ un peccato.
Sono presenti altri elementi da considerare, parlando del gameplay, che resta in ogni caso strettamente connesso alla narrativa, soprattutto in relazione alla giustificazione di certe meccaniche. In Death Stranding esiste il fallimento, esiste la perdita totale del carico, esiste la morte, ma non nel senso che vi aspettate. Ci saranno sicuramente delle situazioni che metteranno alla prova la vostra ingegnosità di giocatori e anche il vostro sangue freddo, ma non sono mai sfide insormontabili e il gioco vi metterà sempre nelle condizioni di superarle, con alcune chicche davvero interessanti.
In virtù di quanto detto (che risulta volontariamente parziale, per non anticipare troppo) il gameplay di Death Stranding non è strettamente definibile rivoluzionario, almeno per quanto mi riguarda, e nemmeno fautore di un nuovo genere. Ma si tratta di un unicum nel panorama attuale, che propone sicuramente qualcosa di mai visto e per questo deve essere premiato. Di contraltare, come spesso succede quando viene proposto qualcosa di nuovo, è assolutamente legittimo che per gusto personale non si possa gradire ciò che ci si trova davanti, ma l’intenzione in questa sede è di considerare ciò che si è visto nella maniera più oggettiva possibile, se davvero oggettivi si può essere. Death Stranding è effettivamente un titolo lento e ricco di informazioni da immagazzinare, sia tramite le cutscene che grazie ai molteplici file di interviste disponibili (estremamente interessanti, se avrete voglia di dedicarci del tempo, e soprattutto illuminanti su alcuni elementi della trama). Il ritmo deve essere quindi accettato e interiorizzato, ma solo se non lo sentirete come un peso. In caso contrario, nulla vi vieterà di veleggiare verso altri lidi.
Rete
Continuando però a cercare di esplorare e comprendere la natura di Death Stranding, c’è un altro elemento che va preso in considerazione: il multiplayer. Anche in questo caso, Kojima Productions prende tutta una serie di elementi in buona parte già visti e li condisce nella proposta di un multiplayer asincrono e collaborativo sorprendente, andando a creare un vero e proprio sistema di connessione tra i giocatori stessi. Nel giocare online infatti, una volta connessa la zona in cui vi trovate, potrete vedere ed avere accesso ad una serie di “tracce” lasciate da altri “corrieri” come voi, alcune delle quali potranno risultare dei veri e propri aiuti, “riempiendo” letteralmente quella che a prima occhiata potrebbe risultare un’ambientazione completamente vuota. In questo senso è stato quindi implementato un sistema di “gradimento” dell’operato altrui, che fa il verso al sistema di valutazione delle consegne effettuate da Sam, tramite il quale si potrà far sapere al determinato giocatore di aver apprezzato la sua azione specifica (ad esempio nel posizionamento di una scala in un luogo impervio). Inoltre è affascinante osservare come, mano a mano che i corrieri passeranno da specifici luoghi, lo stesso ambiente andrà a modificarsi, creando dei veri e propri “sentieri” percorribili. Si tratta di cambiamenti del level design stesso, che è quindi stato meticolosamente e magistralmente studiato per permettere più libertà possibile nella modifica.
C’è naturalmente una limitazione nella quantità di elementi che possono apparire nella propria “cerchia”, cosa che viene anche spiegata a livello narrativo tramite l’estensione della cosiddetta “rete chirale”. I giocatori con cui vi troverete ad interagire sono selezionati in maniera randomica ed è chiaro che avrete comunque la possibilità di rinunciare totalmente a questo aspetto giocando offline, in un certo senso accettando l’isolamento forzato imposto dal Death Stranding. Non c’è un modo giusto o un modo sbagliato di giocare, anche se personalmente ho incontrato davvero delle belle sorprese grazie a questo tipo di interazione. E, in questo modo, il gioco stesso continua in un movimento invisibile anche nel momento in cui spegnerete la console e, quando ritornerete, ne potrete vedere i risultati.
La dura vita del corriere
Tuttavia, ad essere concreti, Death Stranding non resta comunque totalmente immune da una sensazione sottostante di ripetitività e di quella che potremmo definire “saturazione”, almeno in relazione alle attività di consegna secondaria. Fortunatamente il giocatore non viene comunque obbligato (a parte in alcuni momenti a inizio gioco) a intraprendere questi incarichi, potendo optare per proseguire nel viaggio senza impegnarsi particolarmente ad accontentare i “clienti”. La ripetitività inoltre è certamente mitigata dalla complessità di fondo del gameplay e dell’ambiente, che vi metteranno di fronte a situazioni diverse e affrontabili in più modi. Aggiungo anche che il gioco non vi impedisce per nulla di esplorare liberi da carichi, a vostro rischio e pericolo.
Ma esplorare cosa e in che modo? Death Stranding viene definito un titolo open world, ma ci sono alcuni elementi da considerare al riguardo. Se all’inizio la consultazione della mappa vi darà l’idea di singole zone, questo elemento si evolverà mano a mano che proseguirete, e vedrete come. Non si percepirà mai in ogni caso di essere in uno spazio “chiuso” poiché i paesaggi risultano sconfinati e logicamente costruiti per dare una sensazione di estensione fino all’orizzonte. La stessa possibilità di movimento “limitata” da una serie di elementi fa sentire più che mai al giocatore la distanza percorsa o da percorrere. La conformazione del terreno è studiata in modo dettagliato e forse vi stupirà sapere che è presente una certa varietà.
Oltre l’orizzonte
Tutto ciò che è stato descritto finora vive di vita propria grazie all’incredibile Decima Engine, spinto qui ad uno dei livelli tecnici più elevati mai raggiunti in questa generazione. Il livello di dettaglio presente è incredibile, così come lo sono le animazioni, i modelli dei personaggi e gli splendidi e desolati paesaggi, che trasmettono una sconfinata sensazione di solitudine e devastazione, ma anche quasi un “ritorno” primitivo. Non ho riscontrato problemi tecnici di alcun genere, né bug, nel corso del mio playthrough, questo a testimoniare la maniacalità e la precisione con cui il prodotto è stato trattato, soprattutto nelle ultime fasi dello sviluppo.
Nonostante questa spinta pazzesca, inoltre, non sono presenti molti caricamenti (e alcuni di questi sono sapientemente mascherati da brevi scene animate) e la PlayStation 4 Pro risulta incredibilmente silenziosa. Viene davvero da chiedersi quale sarà il risultato del porting su PC (in arrivo nel 2020), se queste sono le premesse.
La stessa dose di lodi può essere riservata alle performance dei vari protagonisti in scena: giocare Death Stranding in lingua originale aiuta a comprendere la qualità del lavoro effettuato. Tuttavia spezzo anche una lancia in favore dell’ottimo doppiaggio in italiano, in parte assolutamente fondamentale per chi non gradisce dover stare dietro ai sottotitoli (soprattutto in un gioco ricco di informazioni e dialoghi come questo) e chi in generale non ha dimestichezza con la lingua anglosassone e vuole godersi il gioco in maniera più rilassata.
Anche per quanto riguarda la scelta della soundtrack e il sound design sono state fatte delle scelte ben precise e sicuramente apprezzabili, che saranno in grado in alcuni momenti di sorprendervi ed emozionarvi, in altri di terrorizzarvi letteralmente. È davvero sorprendente, a questo proposito, pensare alla gamma di emozioni che Death Stranding è stato in grado di procurare in me: stupore, commozione, paura, frustrazione, gratitudine, angoscia, rabbia, preoccupazione.
Storytelling
Sarete forse sorpresi del fatto che siamo ormai a più di 2500 parole e non si sia ancora parlato della trama. Questo è stato naturalmente intenzionale, nell’idea precisa di concentrare subito l’attenzione su quella che è la sostanza fondamentale di un videogioco, cioè il gameplay. L’importanza di questo aspetto è massima soprattutto in un caso come questo, nel momento in cui molti accusano il gioco in questione di non proporre gameplay, ma solo cutscene cinematografiche e una storia cervellotica e complessa. Questi due ultimi elementi sono naturalmente presenti, e anche in maniera massiccia.
Non si può infatti considerare Death Stranding senza considerare anche la sua narrativa. Vi basti però in questo senso sapere che i fili sono orchestrati con una certa maestria, seppure, come spesso capita con Kojima, il giocatore si sentirà decisamente confuso all’inizio. Veniamo infatti lanciati in un universo narrativo in cui tutti i singoli personaggi, compreso il protagonista, sanno esattamente cosa sta succedendo. Tutti eccetto noi, che invece dovremo raccogliere pian piano gli indizi e (ri)costruire il mondo e la storia grazie ad essi. La narrazione non è esente, naturalmente, dalla solita ricchezza di piccoli dettagli ed easter egg che sono stati sapientemente inseriti, ma non è naturalmente questa sede il luogo giusto per sviscerare questo aspetto. Non mancano alcuni momenti forse un po’ forzati, uniti da una tipica ridondanza che potrebbe risultare un pochino esagerata in qualche punto. Gestire una quantità di informazioni e una costruzione narrativa così complessa non è facile, ma in generale Death Stranding riesce a farlo senza deludere, restando nello stesso tempo un po’ criptico in alcuni aspetti.
Scoperta
Ci sono moltissime altre cose di cui si potrebbe parlare a proposito di Death Stranding, sia riguardanti il suo messaggio più profondo, sia in relazione all’esperienza strettamente ludica. Mi sembra però in questa sede di aver detto più che abbastanza per dare un’idea, con un approccio forse anche un pochino diverso e rischioso, a chi sta leggendo del tipo di prodotto che ci troviamo davanti. Il mio desiderio è quindi a questo punto di lasciare ai giocatori stessi, anche per rispetto nei loro confronti, la gioia e la curiosità di sviscerare e interpretare un mondo che aspetta solo di accoglierli, sorprenderli e metterli alla prova. Il gioco di Kojima Productions non è certo perfetto, ma dimostra qualcosa che è molto raro nell’industria al giorno d’oggi: il coraggio e la voglia di proporre qualcosa di diverso, che a causa di ciò sia anche oggetto di polemiche e dibattiti.
Come ho già specificato precedentemente, non considero Death Stranding un titolo “rivoluzionario”. Non penso che ci saranno altri prodotti che riproporranno meccaniche così peculiari e complesse. Penso però che ci sia un elemento che resterà come riferimento e che probabilmente fungerà da origine di qualcosa davvero di nuovo: mi riferisco alla già sviscerata componente multiplayer, la quale crea un mondo che è veramente costruito in parte dai giocatori stessi, in un contenitore meticolosamente modellato proprio per questo. Ciò non va a togliere la “responsabilità” a chi si occupa del level design, ma anzi piuttosto lo pone in una posizione ancora più delicata, richiedendo un ulteriore ragionamento in relazione all’effetto che le imprevedibili attività di un giocatore possono avere sul mondo che ha costruito.
Che cosa possiamo quindi concludere dopo questo fin troppo lungo discorso? Che, cercando di distaccarsi dalla tempesta di opinioni senza capo né coda che ancora adesso infestano la rete, ci troviamo davanti ad un prodotto unico nel suo genere, che piacerà a molti e annoierà diversi altri. Alcuni si sentiranno esageratamente appesantiti da una narrazione criptica, altri ne saranno affascinati e rapiti. Chi si perderà nell’organizzazione compulsiva delle consegne, chi punterà immediatamente all’obiettivo finale senza fermarsi un secondo, rimanendo soddisfatto o deluso dalla sua conclusione.
Al di là di volti illustri e personalità emergenti, il vero protagonista di questo esperimento siamo noi, noi giocatori, che possiamo liberamente scegliere se instaurare o no una connessione con questo titolo, con i loro creatori, con chi lo sta giocando e con tutto ciò che questo comporta.