Prima di iniziare, vi segnalo che l’articolo di oggi è il secondo di una serie dal nome Dietro il videogioco. Troverete in allegato l’articolo d’apertura. Ora, bando alla ciance, iniziamo!
Sebbene il game design, in particolare lato videogame, sia ancora in evoluzione, esistono già teorie, termini tecnici e regole con il compito di tracciare la base di un design di successo. Partendo da ciò, nelle righe che seguono, sarà chiaro il nostro obiettivo: cercare di offrire un’infarinatura sul game design, sottolineando che analizzeremo schemi generici e non situazioni specifiche.
Per capire il significato del termine game design, è fondamentale individuare innanzitutto il significato della parola gioco. Sebbene il concetto legato a tale attività, è sicuramente un qualcosa che tutti conosciamo, riuscire a trovare una definizione sia semplice che al tempo stesso universale, non è così diretto. Molti autori hanno provato a rispondere a questa esigenza di etichettatura e il loro lavoro ha dato i natali ad una letteratura, chiamata Game Studies. Essa fin dai suoi albori ha concentrato la sua analisi sul gioco in sé, sull’importanza e sulle implicazioni che questa attività ha sulla crescita dell’individuo. Gli autori sono molteplici, come il già citato Huizinga, ma, sebbene per certi versi superato, voglio concentrarmi sul pensiero di Roger Caillois. Questa mia scelta è dovuta al fatto che questo pensiero si presta molto all’analisi del concetto “videogame”.
Play o game?
In primis lo scrittore francese individua due atteggiamenti diversi legati all’attività del gioco. Il primo detto paidia o play in inglese, è il giocare spensierato e sfrenato tipico dei bambini. Il secondo, il ludus o game in inglese, corrisponde a un gioco fortemente strutturato nelle sue regole, che può essere anche un’attività condivisa. Naturalmente come suggerisce la parola videogame, ci riferiamo soprattutto al ludus. In particolare l’autore riconosce all’attività del gioco alcune caratteristiche. Essa è:
- Libera in quanto non esiste l’obbligo di giocare.
- Regolata dato che, appunto, è guidato da delle regole(definite, guarda un po’, dal game design).
- Fittizia perché non è reale.
- Separata in quanto delimitata da vincoli temporali e spaziali.
- Improduttiva dato che come risultato finale non si producono beni, servizi o ricchezze.
- Incerta poiché, pur conoscendone regole ed obbiettivi, i giocatori non sanno se arriveranno alla fine e il modo in cui lo faranno.
Inoltre Caillois individua altri quattro componenti del gioco: l’Agon, l’Alea, la Mimicry, l’Illinx. Il primo è quell’elemento che porta il giocatore a mettere in campo le sue abilità fisiche(es.riflessi) e/o mentali(es.capacità di problem solving) allo scopo di vincere una forma di competizione. La seconda corrisponde all’imprevedibilità degli eventi di gioco, come ad esempio il punteggio ottenuto dal lancio di un dado. La Mimicry, invece, è l’interpretazione di una maschera o di un ruolo, che sia personalizzabile o meno. Infine l’Ilinx o vertigine consiste nello stato d’animo alla base di giochi come l’altalena.
Naturalmente questi aspetti non sono da intendere come una bibbia assoluta e se un gioco non li possiede tutti e quattro, non vuol dire che non sia tale. Difatti dobbiamo intenderli come elementi possibili e ricorrenti in maniera congiunta o separata in molti giochi. D’altronde abbiamo esempi come il gioco di ruolo carta e penna, quantomeno riconducibile a tre di esse, affiancato dal gioco d’azzardo, paurosamente spostato verso l’Alea. In conclusione, tenendo conto delle informazioni sopracitate, si definisce il gioco come un’attività liberamente scelta, esercitata singolarmente o in gruppo da persone a scopo ricreativo.
Cos’è il game design?
La natura di approfondimento del testo ci impone di ritornare subito al nocciolo della questione, ossia cosa è esattamente il game design e chi è il game designer. In parole povere potremmo dire che il game design è l’insieme di azioni, le quali decidono il funzionamento di un gioco. Questo processo, nonostante possa sembrare semplice, comporta una considerevole quantità di tempo e di lavoro da parte di più professioni. Inoltre non va confuso con la “scrittura” della storia. Per quanto questi aspetti siano collegati, il design di un gioco precede la sua sceneggiatura. Questo perché la caratteristica principale di un videogioco è l’interazione con il giocatore. Ebbene sì, torna questo scomodo compagno di viaggio che, come avevamo analizzato nell’articolo precedente, influenza prepotentemente lo sviluppo di un videogame. Di conseguenza tutti gli elementi di un videogioco devono essere funzionali al design concepito e a come il giocatore sia chiamato in causa.
Stringendo all’osso e in maniera secca, potremo definire il design di un gioco come l’insieme di sistemi/elementi che definiscono l’interazione tra videogioco e giocatore in termini di ciò che quest’ultimo possa o meno fare. Di riflesso si intuisce che l’obbiettivo del game design e del suo maggiore attore, il game designer, sia generare un’esperienza di gioco piacevole e significativa. Naturalmente il prodotto finale sarà uno schema o meglio un modello ideale dell’esperienza del giocatore che potrà personalizzarla in base ai mezzi offerti dal gioco.
Cos’è un game designer?
Questa figura, in alcuni casi idolatrata come una rockstar, è in primis mente e ideatore di un videogioco. Di conseguenza è necessario che sia tuttologo e risolutore di problemi, dovendo interfacciarsi con qualunque aspetto del videogioco. Un game designer deve concepire la visione artistica del videogioco, stabilirne le regole e supervisionare o addirittura contribuire alla fase di programmazione. Tra i suoi compiti abbiamo, definire:
- il target del suo gioco, ossia i giocatori.
- l’obiettivo del suo “pubblico”, ossia cosa si deve fare.
- le regole, le informazioni e le sequenze di gioco.
I Game Designer sono, semplificando molto, i direttori artistici di un videogioco. Si tratta di professionisti dal forte potenziale creativo che partecipano attivamente ad ogni fase di sviluppo di un videogame, collaborando con altri professionisti alla realizzazione del suo design.
Conclusioni
Dato che abbiamo già sufficientemente descritto l’impatto del game design sulla costruzione del gioco, chiudo con una mia riflessione. Qualora si voglia far parte del mondo etichettato come “stampa videoludica”, non ci si può esimere da un’analisi più profonda del videogioco e delle sue componenti. D’altronde, con il passare del tempo, i videogame hanno subito una forte evoluzione, arrivando ad essere spesso dei prodotti complessi dalle molteplici anime. In questo modo ci si trova ad elogiare questo o quest’altro aspetto oppure a dedicarvi dei lunghi approfondimenti o analisi che non si allontano da quelli dedicati ad altre forme d’intrattenimento come musica e cinema. Di conseguenza approfondire il design o “l’essenza” di un prodotto può solamente arricchire il proprio giudizio critico, sia positivo che negativo.
Addirittura mi slancio in un pizzico di soggettività, convivendo la mia piccola visione. A mio mero parere, l’affermazione del videogioco e della “stampa di settore” agli occhi di un pubblico più generalista, passa da quella del game design come disciplina. Così come la regia è il motore propulsivo del film come mezzo comunicativo, l’interattività e il suo design lo sono e lo saranno per il videogioco.
Bibliografia
Allego le fonti consultate e che sono state fondamentali nella stesura dell’articolo:
- Maresa Bartolo e Ilaria Martiani, Game design. Gioco e giocare tra teoria e progetto, Pearson, 2008;
- Roger Caillois, I giochi e gli uomini: La maschera e la vertigine