Immaginate di essere sopravvissuti ad un’apocalisse zombie, di essere tornati alla vostra vita normale dopo un massacro impossibile da dimenticare. Provate a sentire il terrore che vi pervade nel momento in cui avete scoperto che a causa di un gruppo di scienziati, l’incubo è tornato, spazzando via quel poco che era emerso dalle ceneri di una civiltà in fiamme. Dovrete nuovamente lottare per la vostra vita e per le persone a cui tenete, nonostante i fantasmi di un drammatico passato continuino a perseguitarvi.
Benvenuti in Dying Light 2: Stay Human, il seguito del brand firmato Techland, il cui capitolo originale risale al 2015. Un’opera capace di distinguersi dalla massa di produzioni simili, grazie ad un gameplay estremamente dinamico che faceva del parkour il suo punto di forza. Dopo uno sviluppo a dir poco travagliato abbiamo avuto la possibilità di provare a fondo l’inedita avventura, foriera di grandi soddisfazioni nonostante qualche bug di troppo.
Fantasmi dal Passato
Aiden, l’attore principale della storia, è un “pellegrino”, una figura estranea ai pochi gruppi di civili superstiti e che funge da “postino” per gli stessi. In un mondo privo totalmente di strumenti per la comunicazione, il trasferimento di informazioni è merce preziosa, tanto quanto i messaggeri disposti ad occuparsene. Il nostro eroe è stato vittima di misteriosi esperimenti durante l’infanzia, condotti in un oscuro centro di ricerca da un classico “mad doctor”, l’inquietante Waltz. L’unica ancora di salvezza alle sofferenze causate dalle continue torture è stata sua sorella Mia, di cui ha perso le tracce dopo un devastante incendio. L’intera vita di Aiden è finalizzata al ricongiungimento con la consanguinea di cui sembra aver individuato le ultime tracce a Villedor, uno dei pochi centri abitati sopravvissuti ai non morti. Il ritorno alla civiltà non è dei migliori, infatti il pellegrino viene morso da un “notturno”, una delle creature mostruose che popolano le strade dal tramonto all’alba. Ha così inizio un’avventura lunga e appassionante, ricca di colpi di scena e soggetta a diversi finali, determinati dalle scelte del giocatore.
La sceneggiatura di Dying Light 2 è brillante e la possibilità di influire sensibilmente sul percorso narrativo e sulla struttura del mondo di gioco costituisce uno degli aspetti più riusciti dell’ultima fatica dello studio polacco. Da sfondo alla main quest troverete un’infinità di storie secondarie, proposte da NPC ottimamente caratterizzati (non riuscirete a scovarne uno uguale ad un altro) forieri di incarichi che vi strapperanno più di una lacrima o un sorriso, capaci di rappresentare un variegato spettro di emozioni e frutto di una fase di scrittura particolarmente ispirata.
Techland è riuscita a realizzare una notevole impresa: quella di dare peso e unicità alle classiche e ripetitive missioni accessorie degli open world che seppur amalgamate da meccaniche di gameplay simili, riescono continuamente a stuzzicare l’interesse dello spettatore, rendendo più vivo ed immersivo il mondo di gioco. Dying Light 2 è risultato intenso ed appassionante fin dalle prime battute, arricchito da coprotagonisti complessi e credibili tra i quali emerge la figura di Lawan (Rosario Dawson), l’eroina che ci farà da spalla per lunghi tratti dell’avventura. L’espressività degli interpreti e il ritmo volutamente cadenzato delle lunghe sequenze filmate che amplificano la storia, contribuiscono a renderla memorabile, nonostante qualche piccolo inciampo narrativo che potrebbe essere colmato dai futuri contenuti che verranno rilasciati.
Zombie Luna Park
Chiunque abbia giocato al primo capitolo della saga proverà familiarità con questo seguito che pur mantenendo una struttura videoludica del tutto simile all’originale, è apparso perfezionato e arricchito in ogni singolo aspetto. L’alternanza tra il giorno e la notte è restata immutata con gli zombi tanto indeboliti e rallentati dalla luce del sole quanto inferociti e aggressivi in sua assenza. La sicurezza che si prova durante le ore diurne svanisce non appena l’oscurità investe un mondo privo di elettricità, a malapena schiarito dalla torcia che abbiamo in dotazione e reso ansiogeno dal rinnovato campionario delle orribili creature che vi daranno la caccia. Infatti vi basterà farvi scorgere da uno dei numerosi zombie “urlatori” che popolano la notte di Villedor, per dare il via agli inseguitori, il cui numero e intensità aumenterà progressivamente ad ogni “strillone” allertato. Queste sezioni, a volte inevitabili, regalano in ugual misura inquietudine ed adrenalina, dato che i cacciatori sono praticamente indistruttibili nella prima parte del gioco e capaci di seguirvi anche sui tetti più elevati.
L’unico elemento in grado di arrestarli sono le lampade UV, presenti nel rifugi che avremo sbloccato. Un aspetto che invoglia l’esplorazione e la conquista delle postazioni secondarie (stazioni della metro, mulini e giacigli d’emergenza) che si ricollegano al sistema di quest accessorie citato in precedenza. In poche parole il raggiungimento di questi avamposti non è una semplice questione di completamento delle icone presenti sulla mappa ma contribuisce alla nostra sopravvivenza tanto quanto la generosa ricerca del loot necessario al nostro rafforzamento. Oltre ai luoghi sicuri in nostro soccorso avremo un vasto set di acrobazie parkour e un gruppo di skill dedicato al combattimento corpo a corpo (entrambi incrementabili tramite un classico albero delle abilità) che ci permetteranno, rispettivamente, di raggiungere luoghi apparentemente inaccessibili con grande velocità (sfuggendo agilmente anche alle orde più numerose) e di fronteggiare i nemici. Un incredibile campionario di mosse, spesso combinabili, regolate da un indicatore della stamina.
Che siano zombie affamati o criminali incalliti, cambia poco; Aiden è in grado di cavarsela più che egregiamente in ogni situazione, tra offensive devastanti, schivate repentine e spettacolari colpi a mezz’aria. I confronti in perenne inferiorità numerica si trasformano spesso in una cruenta danza mortale, tra letali piroette e atroci smembramenti.
Il vasto arsenale del titolo è esclusivamente composto da armi bianche, suddivise per rarità e potenziabili tramite delle modifiche in grado di aggiungere effetti elementari e danni. Purtroppo non è possibile ripristinarne la resistenza (tranne se non si è in possesso dell’easter egg Korek) e le bocche da fuoco sono praticamente assenti (esclusi alcuni shotgun da collocare nella categoria dei consumabili). Una precisa scelta degli sviluppatori che non ci ha convinto del tutto, visto che l’aggiunta di strumenti capaci di infliggere danni a distanza (affidati ad alcuni oggetti da lancio e alla coppia arco/balestra) avrebbe fornito una maggiore varietà al gameplay. Nello stesso tempo è comprensibile che avendo strutturato l’esperienza di gioco sul continuo contatto fisico tra i contendenti, l’aggiunta di fucili e pistole avrebbe mortificato buona parte delle abilità del protagonista.
Le vera novità di Dying Light 2 sono costituite dalla presenza di comunità organizzate, con cui saremo liberi di collaborare o meno e dal parapendio. L’esercito dei “Pacificatori” e gli altrettanto numerosi “Sopravvissuti” sono le due fazioni principali, entrambe disturbate dai “Rinnegati”, un crudele gruppo di banditi pronto ad attaccare chiunque sia estraneo alle proprie fila. La scelta dell’associazione verso cui simpatizzare sarà libera da ogni vincolo, in un sistema dove persino l’imparzialità avrà delle conseguenze. Infatti ogni volta che conquisteremo uno degli edifici fornitori di energia elettrica oppure di acqua potabile dovremo deciderne l’assegnazione, una preferenza che decreterà il predominio di uno dei due contendenti nel quartiere. Preferire i “Peacekeeper” ci darà dei vantaggi in battaglia, mentre i “Survivors” favoriranno gli spostamenti acrobatici tra gli edifici. Mantenere l’equilibrio, assegnando le risorse in egual misura, permette di sfruttare i “regali” di entrambe ma nello stesso tempo impedisce l’acquisizione delle ricompense finali. A seconda del vostro stile di gioco dovrete prendere delle decisioni difficili che influiranno anche sulla presenza o meno di obiettivi secondari.
La mappa del gioco è dotata delle giuste dimensioni tanto da non essere dispersiva e contiene un’infinità di dungeon nei suoi edifici in larga parte esplorabili. La quantità di strutture accessibili è davvero incredibile ed accresce a dismisura la verticalità di un’esperienza capace di riservare segreti e sorprese ad ogni piano raggiunto, tanto verso l’alto quanto nelle profondità. In questo discorso il parapendio costituisce una piccola ma sensibile “rivoluzione” nelle meccaniche del brand, fornendo una maggiore libertà esplorativa al giocatore. Planare dalle strutture più alte fornisce l’accesso a zone apparentemente vietate, oltre ad evitare le comunque numerose morti per caduta. Nel complesso l’opera di Techland è foriera di continue “distrazioni” a cui è difficile resistere, vista la necessità di potenziare il protagonista e la ricerca degli elementi rari, spesso nascosti in luoghi accessibili solo di notte.
Non vi nascondiamo che ci siamo divertiti molto con questo titolo, tanto nella trentina d’ore necessarie al completamento della main quest quanto nel farci assorbire nel suo enorme “parco giochi”, dove storie, salti impossibili e combattimenti si alternano senza sosta. Vivere l’avventura in compagnia di altri tre utenti è semplicemente esaltante, anche se riduce, forse eccessivamente, il livello della sfida. Esattamente come nel primo capitolo, il loot reperito è differenziato per ogni partecipante alla sessione ed è possibile scambiare armi ed equipaggiamenti a proprio piacimento. Purtroppo i progressi raggiunti nella co-op valgono unicamente per l’ospitante e se la scelta può avere un senso nelle missioni della campagna principale, appare del tutto ingiustificata per quanto concerne le secondarie. Gli utenti che vi accompagnerenno nel vostro viaggio, conserveranno solo gli oggetti e l’esperienza accumulata: davvero troppo poco.
Un Nuovo Mondo Old Gen
Quanto di buono descritto finora viene in parte vanificato da un comparto tecnico alquanto arretrato. Dying Light 2 mostra le cicatrici di una fase di sviluppo problematica e la natura cross-gen inficia ulteriormente la resa visiva dell’esperienza. Il titolo non brilla né per l’ottimizzazione delle versioni next-gen né tantomeno sulle piattaforme della scorsa generazione. Provare a giocarlo alla massima risoluzione e con il Ray Tracing attivo è praticamente impossibile tanto su PlayStation 5 e Xbox Series X/S quanto su PC di fascia alta. Il frame rate fatica a sostenere i 30 Fps, affossato ulteriormente da pesanti cali nelle fasi più concitate. In un prodotto che basa il suo gameplay sulla velocità è un difetto non da poco, tanto più in presenza di una cospicua quantità di bug, in rari casi, fortunatamente, capaci di costituire un limite pesante alla fruibilità complessiva dell’opera. Abbiamo aspettato le modifiche apportate dalle patch post lancio (fortunatamente repentine) prima di esprimere il nostro giudizio e l’attesa è stata in buona parte ripagata.
La nuova epopea zombie dà il meglio di se nella modalità “prestazioni” dove l’abbassamento della risoluzione permette di usufruire pienamente delle caratteristiche del gioco. La possibilità di escludere il fastidioso motion blur, un miglioramento sensibile della definizione delle texture e il notevole lavoro di pulizia visiva apportato, hanno reso l’esperienza molto più gradevole, anche se resta, purtroppo, la sensazione che un eventuale rinvio della data d’uscita di qualche mese sarebbe stata necessaria e producente. Nonostante non siamo di fronte ad una produzione moderna è innegabile che l’open world di Techland abbia comunque un suo indiscutibile fascino, costituito dalla bellezza delle animazioni e degli effetti luce, dall’espressività di ogni singolo personaggio con cui vi rapporterete e soprattutto da un game design di livello assoluto.
Discorso diverso per quanto concerne il sonoro dove è davvero difficile scorgere imperfezioni di rilievo. La tracklist risulta particolarmente indovinata con tracce sempre pronte ad accompagnare nel modo giusto le sequenze mostrate sullo schermo. Gli effetti vantano una realizzazione più che discreta e sentire le urla delle vittime in lontananza che echeggiano tra i palazzi o avvertire il verso affannato dei propri inseguitori sono solo alcuni dei preziosismi che arricchiscono l’avventura. Nota di merito all’ottima traduzione della nostra lingua e alla sincronizzazione dell’audio con il labiale dei protagonisti in grado di sfiorare la perfezione.
Capolavoro Imperfetto
Dying Light 2: Stay Human è l’open world più divertente, vario e appassionante degli ultimi anni. Nonostante le incertezze tecniche il titolo di Techland è riuscito a rinnovare un genere affossato da produzioni troppo simili tra loro dove la vastità dei mondi di gioco è riempita da quest inutili e ripetitive. Lo studio polacco ha alzato l’asticella di una categoria dove la longevità è spesso fine a se stessa, creando un’avventura dove le scelte hanno finalmente un peso sullo sviluppo narrativo e dove il coinvolgimento del giocatore è immediato e totale, in un vortice di azione ed esplorazione capace di lasciare il segno. Che siate o meno appassionati di zombie game cambia poco. Dying Light 2 è la dimostrazione di come il media videoludico possa superare i propri limiti di passatempo e fornire all’utente una merce sempre più unica e rara: le emozioni.
Versione Provata: PlayStation 5