I cosiddetti eSports, termine che sta per electronic sports, stanno conoscendo un periodo di forte espansione e successo di pubblico. E’ un fenomeno in crescita, e sempre più aziende ed appassionati si avvicinano a questa realtà. Competizioni, squadre professionistiche, anche possibili guadagni. Il settore degli eSports infatti è uno dei più promettenti in merito di online economy, e la crescita non si fermerà tanto presto. Alcuni esempi: i tornei competitivi di Overwatch e di League of Legends, di Fifa e di Dota. Nel contorno di un movimento di tale successo, giunge spontanea una questione: possiamo parlare di “sport”? In un mondo in cui nella categoria sono incluse discipline come il tiro al piattello, la carabina, il tiro con l’arco, la domanda risulta legittima.
Il passo successivo è il riconoscimento ufficiale. Da parte prima del CONI (se parliamo specificamente dell’Italia), e poi del CIO, il Comitato Olimpico Internazionale. I tornei infatti, in ambito eSports, vengono organizzati grazie allo status di ASD, Associazioni Sportive Dilettantistiche. Definizione però che comincia a stare un po’ stretta ai moltissimi ormai professionisti del settore. Parliamo davvero di professionisti, per il fatto che non è da tutti arrivare a vincere un torneo eSports, e il competere a questi livelli richiede delle abilità e una quantità di tempo ed energie dedicate che nulla ha in meno rispetto a diversi sport professionistici.
Recentemente dunque, il movimento è in direzione di un riconoscimento ufficiale di questo tipo di competizioni e pratiche, questione che però sembra avere diversi intoppi. Si era parlato infatti della possibilità che gli Sports venissero inclusi nel programma olimpico di Parigi 2024. Il Comitato Olimpico però ha posto perentoriamente il veto su quelli che definisce “giochi violenti”. Con le seguenti parole:
Vogliamo promuovere la non discriminazione, la nonviolenza e la pace tra le persone. Questi principi non coincidono con i videogiochi che trattano violenza, esplosioni e uccisioni. Vogliamo tracciare una linea ben chiara sull’argomento.
La decisione sembra essere irrevocabile. Ci chiediamo però se il CIO sia in grado di riflettere su quello che viene sostenuto con queste parole. Tra gli sport olimpici infatti, possiamo trovarne diversi che non incitano di certo alla pace e alla nonviolenza. Come la boxe o le discipline che prevedono l’utilizzo delle armi. La coerenza quindi ci sembra scricchiolare, in questo caso. Anche in relazione ad una visione, quella del CIO, che sembra davvero ristretta rispetto al mondo sia degli eSports che dei videogiochi in generale. Visione che tuttavia, e purtroppo, va ad inserirsi in quella di una realtà che guarda al mondo videoludico con una buona dose di diffidenza. Sta a noi, in quanto gamers e appassionati, cercare di cambiare le cose.