Le cose non devono essere avvenute per essere vere. Le storie e i sogni sono ombrose verità che sopravviveranno quando i fatti saranno solo polvere, cenere e oblio.
Preludio
La frase che introduce questo articolo non è stata scelta a caso. Proviene da uno dei volumi di Sandman, creatura a fumetti di Neil Gaiman, immortale personaggio che è stato in grado di dare vita ad un vero e proprio mito moderno. Ed è a questo tema, quello dei miti, che voglio allacciarmi per prendere il via in questo delicato approfondimento di Final Fantasy VII Remake. L’atteso ritorno del capitolo di un brand che non è solamente un videogioco, ma che negli anni ha saputo diventare molto di più. Final Fantasy VII non è semplicemente “un” Final Fantasy, ma è stato uno dei capitolo più importanti della saga Squaresoft/Square Enix, il primo ad approdare su PlayStation nell’ormai lontano 1997 con la rivoluzione della grafica e dei modelli 3D. Alcuni di voi probabilmente non avranno vissuto l’esperienza, ma per tanti di noi ritrovarsi davanti a quei pixel tridimensionali indefiniti su fondali prerenderizzati fu una folgorazione indimenticabile. Ma Final Fantasy VII non è stato solo questo.
Quello che sono in grado di realizzare i media narrativi del nostro tempo, compresi i videogiochi, è straordinario. In particolare, sono questi che sono in grado di regalarci una delle cose di cui abbiamo più bisogno per inoltrarci in una difficile e sempre più frenetica quotidianità: le STORIE. E, intorno ad esse, la creazione di una vera e propria mitologia, ossia un sistema narrativo e la costruzione di un mondo che si regge su regole coerenti. Si tratta di una delle prerogative più peculiari dell’essere umano in quanto tale, e uno degli elementi che ci contraddistingue da qualsiasi altro essere vivente. Ogni civiltà che si possa definire tale si è basata, innanzitutto, su storie. E su storie si basa anche la giustificazione di esistenza di tutte le strutture astratte che ci circondano, dalla società alla religione. Il videogioco è in grado non solo di raccontarci queste storie, ma anche di trasportarci all’interno di esse con una potenza che il più delle volte supera il cinema stesso, grazie all’elemento fondamentale dell’interazione.
Ma non siamo qui per un trattato di approfondimento sul media videoludico, bensì per parlare dell’operazione realizzata da Square Enix con questo remake. Partiamo da un presupposto: la software house giapponese non si è esattamente guadagnata la nostra fiducia negli ultimi anni. Diverse operazioni discutibili e quasi inspiegabili (Left Alive, The Quiet Man) e prodotti non proprio soddisfacenti nonostante l’attesa (Final Fantasy XV, Kingdom Hearts III) formano un’equazione non troppo rassicurante. È possibile che sia stata proprio questa equazione a spingere Square ad effettuare un’operazione sia rischiosa che comoda: proporre al pubblico il remake di uno dei capitolo più amati della propria saga di punta. Parliamoci chiaro: il progetto di Final Fantasy VII Remake è per l’azienda l’equivalente ad un ipotetico Final Fantasy XVI, per investimento, risorse e introiti. Anzi, va ben oltre questo, poiché ci troveremo davanti a più Episodi di quella che punta ad essere una vera e propria “saga nella saga“, ben più di quello che è stato il progetto dei titoli girati intorno a Final Fantasy XIII.
L’operazione effettuata da Square presenta quindi luci ed ombre: il finale proposto, che qui non andremo ad approfondire, è un fulmine a ciel sereno in grado di far vacillare buona parte delle certezze e addirittura di far discutere sulla natura stessa del remake, rendendo quindi discutibile anche la comunicazione effettuata in merito al prodotto. Ma andiamo con ordine.
Midgar
Sapevamo bene che questa prima parte del progetto sarebbe stata ambientata totalmente a Midgar, la metropoli supertecnologica sotto il monopolio dell’Electric Power Company SHINRA. Dopo le prime fasi di gioco, che abbiamo potuto osservare anche nella demo proposta alcune settimane prima dell’uscita del gioco, la “nuova Midgar” si mostra a noi in tutto il suo splendore, la sua umanità e la sua tragica situazione. Salta immediatamente all’occhio come il lavoro in questo senso è stato eccezionale: le vie deturpate dai crolli, il fumo, le persone disperate trasmettono un messaggio fortissimo al giocatore, che si ritrova già in questa prima fase con un grosso nodo alla gola. La gioia nei nostri occhi si estende poi al resto delle ambientazioni: i bassifondi non sono mai stati così vivi, incredibilmente dettagliati e realistici. Gli scorci della città sono da continuo screenshot, nonostante la presenza di alcuni necessari compromessi grafici. Si tratta comunque di ciò che da una parte i fan aspettavano con ansia di vedere, dall’altra di qualcosa in grado certamente di conquistare i nuovi giocatori.
Nonostante “l’unità di luogo” di questo capitolo legato alla sola Midgar, le ambientazioni sono varie e convincenti, oltre che dettagliate. Final Fantasy VII è un dei capitoli più “cupi” della saga di Square Enix e le scelte fatte, almeno in questa prima fase (tralasciando il discusso e discutibile finale), lo confermano: le conseguenze della azioni dell’Avalanche e della Shinra sono gravi e tangibili. Per quanto si abbia avuto il timore che le azioni e la responsabilità del gruppo potessero essere “mitigate”, questo non accade. La scrittura pone egregiamente le questioni etiche davanti alle quali si trovano i personaggi, che decidono però di proseguire per la loro strada inseguendo il “bene superiore” della salvezza del pianeta. Già in questo si può notare sia la modernità di un tema più che mai calzante anche ai giorni nostri, che acquista nuova vita grazie all’approfondimento proposto. Su questo, non ci si può lamentare, né all’inizio né nel proseguo degli eventi.
Azione
Ma Final Fantasy VII Remake non è solo Midgar. Come ormai arcinoto, ci troviamo davanti ad un vero e proprio action-GDR con tutte le conseguenze del caso. Il sistema di combattimento rispetta dunque questa natura, presentandosi con un’azione frenetica – con un party al massimo di 3 personaggi -, intervallata dall’utilissima pausa tattica attivabile tramite X (che pausa davvero non è, visto che l’azione prosegue, seppure rallentata al massimo). Il giocatore è anche libero di non usufruire di quest’ultimo espediente, utilizzando delle scorciatoie che potranno assegnare delle azioni (magie, abilità e oggetti) ad alcuni tasti, attivabili tenendo premuto L1. Questo renderà l’azione ancora più fluida, ma vi ritroverete presto ad utilizzare la “pausa” anche solo per il vantaggio tattico che dà al giocatore. Naturalmente nell’equazione si inseriscono le Materia, che possono essere inserite nei rispettivi equipaggiamenti, creando delle vere e proprie build specifiche. Riguardo a questi ultimi, sono loro che presentano la vera componente GDR del gioco: per migliorare i parametri di un personaggio infatti, sarà necessario migliorare le armi, cosa che potrà essere fatta tramite i punti esperienza ottenuti: ogni arma presenta un vero e proprio schema di miglioramenti, presentato come una sorta di sferografia “a nuclei”, in cui sbloccare i nodi legati a potenza fisica, magica, difesa, slot per le materia e così via. Ogni arma inoltre è diversa, poiché presenta delle peculiarità rispetto alle altre: alcune sono più adatte all’utilizzo della magia, altre più fisiche e così via.
Il sistema, insomma, funziona molto bene e presenta una buona profondità, che va necessariamente approfondita per ottenere i migliori risultati in battaglia. In questo senso, le debolezze dei nemici, che siano elementali o fisiche, possono essere sfruttate per causare uno stato di “Crisi” in cui il bersaglio sarà stordito e subirà un danno maggiorato. L’utilità di infliggere questo status è evidente fin dalle prime fasi di gioco, e lo sarà sempre di più avanzando. Il livello di difficoltà “Standard” risulta abbastanza (forse troppo) semplice, ma viene controbilanciato dalla proposta di una “modalità difficile”, che si sblocca al termine della prima run, in cui non è possibile utilizzare oggetti né recuperare MP, risultando quindi piuttosto complessa e sicuramente soddisfacente per gli amanti delle sfide.
Non possiamo però non parlare, in questa sede, di quella che è una problematica seria legata al sistema di combattimento: la telecamera. Purtroppo la gestione di questa nelle fasi di scontro è tutt’altro che soddisfacente e rischia di causare alcuni momenti di frustrazione soprattutto negli scontro con avversari volanti, che spariscono fin troppo facilmente dall’inquadratura, anche se targhettati. Inoltre con le impostazioni predefinite della visuale il sistema di lock va in conflitto con la libertà di gestire la telecamera da parte del giocatore, poiché il cambio di target viene gestito con lo spostamento della levetta destra, che solitamente è deputata alla gestione della telecamera stessa: questo fortunatamente può essere ovviato cambiando alcune impostazioni. Difficile dire se la cosa sarà oggetto di una patch presto o tardi, ma probabilmente la risposta è no.
Sceneggiatura
Non era operazione per nulla semplice tradurre una storia e dei personaggi dati alla luce più di 20 anni fa, in chiave moderna. I videogiochi al giorno d’oggi sono, oltre che più “guidati”, molto più sbilanciati verso una complessità narrativa di un certo tipo, oltre che alla presentazione di personaggi con profili ben più definiti. Final Fantasy VII Remake prende atto di questo e ci regala una struttura narrativa, una regia e un approfondimento dei personaggi di alto livello. L’espansione degli eventi di Midgar risulta coerente e credibile, oltre che avvincente, nella maggior parte dei casi. Non si possono naturalmente non citare alcune sezioni più “filler” di altre, che forse potevano essere evitate. Ma in generale il risultato e più che notevole, con l’apice che si raggiunge nel dare ancora più vita a personaggi già conosciuti e amati, ma che potranno far innamorare anche chi già non li conosce. Ci sono però alcuni momenti, soprattutto nel finale, che sembrano quasi dare per scontato la conoscenza da parte del giocatore degli eventi originari, in primis quelli legati alla figura di Sephiroth.
Un paragrafo inoltre ci tengo a dedicarlo al design dei personaggi, che, per quanto mi riguarda, è semplicemente perfetto. Ognuno dei protagonisti e non presenta un design quasi realizzato da zero, con alcune ispirazioni legate ad estensioni dell’universo narrativo di Final Fantasy VII, come Advent Children o Crisis Core. E, ognuno di loro, risulta incredibilmente convincente, con dei modelli realizzati con una cura certosina e delle animazioni notevoli, nonostante lo stile non sia comunque realistico in senso stretto.
Compromessi
In relazione alla qualità dei modelli e al comparto grafico e tecnico generale ci sono alcune considerazioni da fare: è stato per forza di cose, trattandosi di PS4, necessario ricorrere ad alcuni compromessi visivi. L’elevato livello di dettaglio di modelli ed ambientazioni è stato controbilanciato da alcune scelte specifiche di modelli realizzati con “meno cura”, ossia meno dettagliati e a definizione più bassa. Questo succede sia con alcuni dettagli di ambientazione che con alcuni fondali. Le scelte a volte sembrano un po’ realizzate a caso, come ad esempio l’aspetto assai discutibile del campo di fiori (che potrebbe dipendere non da un compromesso, ma dalla mancanza di tempo? Non lo sapremo mai.), ma per buona parte l’impatto generale sarà in grado di lasciarvi a bocca aperta in diverse situazioni, comprese le transizioni tra cutscene e gameplay, e forse un po’ perplessi in altre. Compromessi però che, ci tengo a dirlo, contribuiscono alla fluidità generale del gioco che in nessun singolo momento presenta carenza di fluidità o framerate instabile. Sono presenti anche, come spesso succede, caricamenti “nascosti” più o meno sapientemente, ma per la maggior parte del gioco non soffrirete attese troppo lunghe, posso assicurarvelo.
Orchestra
Se c’è qualcosa che ormai reputo fondamentale per qualsiasi fruizione ludica di un certo tipo, questa è la musica. Le soundtrack sono in grado di trasmetterci emozioni che a volte le immagini su schermo semplicemente non possono mettere in scena. E qui siamo davanti ad un lavoro che definire sublime è quasi poco. La “riorchestrazione”, la “riscrittura”, delle tracce più amate di Final Fantasy VII ha avuto un risultato eccezionale: ogni pezzo è incredibile per intensità, bellezza e mix tra tradizione e modernità. Ma non solo, poiché per questo remake sono state prodotte anche nuove tracce, che per nulla sfigurano davanti a quelle più storiche, anzi si uniscono in una sinfonia che molto difficilmente scorderemo. Un plauso assoluto dunque ai compositori Masashi Hamauzu, Mitsuto Suzuki e naturalmente al Maestro Nobuo Uematsu.
Tradizione
La “struttura di gioco” di Final Fantasy VII Remake, come ci si poteva aspettare, rompe con la tradizione in maniera piuttosto decisa, proponendo un combat molto diverso e dai ritmi più moderni, ma anche un’esperienza di gioco molto più guidata e lineare. Questo non è per forza un difetto, anzi: è una scelta precisa, che viene portata avanti con coerenza per buona parte del gioco. I momenti in cui questa idea vacilla sono quelli più “stagnanti”, in cui si cerca di proporre attività secondarie per lo più monotone (tranne qualche interessante eccezione) e sezioni di mappa piuttosto inutili, pensate più che altro per “allungare il brodo” e aumentare il monte ore (compreso un capitolo finale esageratamente lungo). L’esplorazione delle aree non è particolarmente complessa, così come non ci sono veri e propri segreti nascosti.
La vera e propria rottura tuttavia, avviene nel finale di gioco. Non andrò naturalmente qui ad approfondire ciò che succede né ad anticipare nulla. Tuttavia è necessario sottolineare come ci sia in quel momento una forte dichiarazione di intenti da parte del team di sviluppo, che potrebbe risultare in uno schiaffo nei confronti degli appassionati e di coloro che si aspettano un’Opera (includendo nel termine i capitoli futuri) fedele, anche se con tutte le reinterpretazioni del caso. La mano di Nomura, in questo finale, è fortemente evidente. Così come la scommessa di Square Enix. Scommessa che però forse poteva essere fatta proponendo un brand davvero nuovo, anziché utilizzarne uno così conosciuto e amato. Come sempre, ai posteri l’ardua sentenza.