Benvenuti a tutti. Con questo primo articolo si inaugura una nuova rubrica di NBG: Indieland. Dal titolo è facile intuire di cosa si andrà a parlare. L’argomento, in generale, saranno le produzioni indipendenti del mondo videoludico. Dico “in generale” perché, come ogni avventura che si rispetti, non si sa mai bene davvero in che direzione ci porteranno gli eventi. Se vorrete unirvi, vedremo che cosa accadrà! Non parleremo oggi di titoli in particolare, ma è mio desiderio proporvi una sorta di manifesto del mio pensiero, che andrà naturalmente a esprimersi nel modo in cui tratterò gli argomenti di questa rubrica.
Vorrei premettere una questione che mi sta particolarmente a cuore: la mia esperienza da gamer è arrivata ormai al ventennio. Ne ho viste di cose, e molte ne vedrò. Ho visto un mondo che inizialmente era riservato a pochi appassionati, aprirsi a moltissime persone. Ho visto, e voi con me, il progresso stupefacente delle tecnologie, che ci hanno portato console e PC sempre più potenti, grafiche e libertà di azione che vanno oltre l’immaginabile. Ma dopo – oltre – questo, che cosa rimane? Cos’è che è fa in modo che un’ esperienza videoludica rimanga impressa dentro di noi? Le risposte possono essere molteplici. Una di quelle che preferisco è questa: i giochi, in un modo o nell’altro, parlano – sempre – di noi. Parlano del mondo, e della nostra visione di esso. Questo perché il videogioco è, innanzi tutto, un prodotto dell’essere umano. Se vogliamo essere poetici, forse esagerando un poco, possiamo pensare ad ogni prodotto – come lo sono i giochi – come una estensione, fisica o spirituale, di chi lo ha creato. Quindi una manifestazione di sé.
Ora, naturalmente, è difficile parlare in questo modo delle produzioni più mastodontiche, che coinvolgono un numero elevatissimo di persone nel processo creativo e realizzativo. Tuttavia ognuna di queste riverserà nel prodotto finale quella che è una parte di sé, nel bene e nel male. E credo che questo non sia mai un elemento da trascurare, quando se ne parla.
Sono passati gli anni, dicevamo. Molti anni in cui il medium videogioco è passato dall’essere percepito come un mero mezzo di intrattenimento (cosa che secondo me non è mai stata, almeno esclusivamente), a qualcosa di molto più complesso. Mi piace dire che oggi ormai il videogioco può essere considerato a pieno titolo un mezzo potentissimo di accesso alla realtà. Può sembrare un paradosso, eppure se ci pensate non è un’idea così assurda. Come premesso, coloro che lo creano, volenti o nolenti, ne riversano all’interno la propria visione del mondo. E questa, anche se inserita all’interno di un immaginifico universo non esistente, emerge potentemente, se si presta attenzione.
Dopo questo bel discorso però, c’è un’altra questione da aggiungere. Come in ogni pratica che definirei senza remore “artistica” (nel senso di produzione di qualcosa che veicola un messaggio e una visione del mondo, oltre che delle emozioni autentiche), l’accoglienza del grande pubblico comporta una cosa soprattutto: la mediocrità. I contenuti e i prodotti vengono, almeno, in parte, standardizzati, per poter raggiungere un numero di utenti il più alto possibile. Questo naturalmente per una questione di profitti. Che sono anche necessari, per poter mandare avanti quella che ormai è una vera e propria industria.
Veniamo quindi a quello che è, come già anticipato, il punto cardine di questa rubrica: le produzioni indipendenti. L’industria videoludica è ormai talmente grande e veicola una tale quantità di denaro, che si è creato uno spazio molto interessante che riguarda quegli sviluppatori che non hanno a disposizione finanziamenti elevati, non essendo appoggiati – il più delle volte – da importanti publisher. La situazione in parte sta cambiando, con molte grosse aziende, da Sony a Electronic Arts, che sono arrivate a riconoscere la qualità di questo tipo di produzioni, appoggiandone gli sviluppatori e garantendone la pubblicazione.
Continuiamo dunque col chiederci: di cosa si parla quando si dice “videogioco indipendente”? Per definizione si potrebbe dire “un videogioco spesso sviluppato da una singola persona o da piccoli gruppi di programmatori, che lavorano senza l’ausilio economico di un editore”. Lo sviluppo di giochi cosiddetti indie nasce negli anni novanta su PC. In seguito, negli anni 2000, grazie a Internet, alle piattaforme per la distribuzione digitale e a nuovi e sempre più accessibili mezzi di sviluppo, i lavori indipendenti conoscono un grande successo di pubblico. I giochi indie naturalmente non hanno dalla loro parte tecnologie di alto livello ed elevati numeri di sviluppatori. Quello su cui si va a puntare, dunque, è la qualità narrativa e l’originalità delle scelte tecniche. Questo ci fornisce un panorama di coraggiosi progetti, che cercano approcci sempre nuovi ed esplorano la potenzialità narrativa del videogioco. I rischi, naturalmente, di non avere alle spalle editori importanti, sono elevati, ma la soddisfazione di un lavoro di qualità apprezzato dal pubblico vale la scommessa.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un’enorme crescita del settore indipendente. Quello che è diventato ormai un genere a sé, ha attirato anche l’attenzione dei grandi publisher che, come detto sopra, hanno iniziato a sostenere alcuni di questi studi di sviluppo. E ormai alcuni prodotti si avvicinano alla qualità dei progetti più importanti. Alcuni esempi degli ultimi mesi sono RiME, Hellblade: Senua’s Sacrifice, Cuphead, What Remains of Edith Finch e molti altri. E anche la scena italiana non è rimasta in silenzio. Molti studi indipendenti si stanno facendo strada nel nostro paese, con prodotti di ottima qualità. Uno degli ultimi più fulgidi esempi è il bellissimo e commovente Last Day of June, di Ovosonico (recensito proprio dalla sottoscritta).
Chiudo il discorso dicendo che mai come oggi è importante nel mondo del gaming l’esplorazione delle sue potenzialità. Il coraggio di alcuni sviluppatori di proporre qualcosa di nuovo. La capacità delle persone di apprezzare questi prodotti e di emozionarsi grazie ad essi. L’uomo, in sostanza, è questo che cerca in ogni cosa che fa: l’emozione. E c’è un’unica cosa da fare: sostenere coloro che cercano di regalarcela esprimendo nel contempo la propria libertà creativa. Giocate. Io continuerò a farlo, per loro e per esplorare con voi la bellezza di questo mondo.