Un anno fa, La Casa de Papel (La Casa di Carta in Italia) si è trasformata in un vero e proprio fenomeno mondiale, diventando la serie tv non in lingua inglese più vista su Netflix. Al ritmo di “Bella Ciao”, non è passato molto tempo perché il colosso dello streaming annunciasse una nuova stagione della serie tv spagnola. Ieri, durante un evento stampa a Milano, abbiamo avuto l’opportunità di vedere i primi due episodi della nuova stagione e fare qualche domanda ad una parte del cast. Cominciamo a raccontarvi le nostre impressioni sulle puntate viste.
Attenzione: quanto segue contiene qualche spoiler (seppur minore) delle prime due puntate.
La prima puntata permette di vedere cosa è successo alla banda del Professore dopo aver realizzato il colpo alla Zecca dello Stato a Madrid. Ogni coppia ha preso una direzione diversa. Mentre Tokyo e Rio si trovano su un’isola deserta, Nairobi e Helsinki si divertono in Argentina. Denver e Monica Gaztambide (ora conosciuta come Stoccolma) si sono sposati e sono alle prese con la piccola Cincinnati: tutto sembra andare per il meglio. Tuttavia, le cose si complicano quando Tokyo decide di lasciare il posto in cui vive. Per rimanere in contatto con la ragazza, Rio gli dà un telefono satellitare in modo che possano conversare senza essere rintracciati. Purtroppo però, non appena accendono i telefoni, vengono subito rintracciati dalla polizia. Tokyo riesce a sfuggire dall’imboscata, mentre invece Rio viene catturato.
Per salvare il ragazzo, il Professore avvierà un nuovo piano. Questa volta, molto più in grande del precedente e con più rischi per ogni partecipante. Anche se alcuni sono inizialmente riluttanti a far parte di questa rapina, il progetto del Professore si mette in moto. Sicuramente è interessante vedere fin da subito le dinamiche e le relazioni dei vecchi membri della Banda (il Professore, l’ex ispettore Raquel Murillo – ora Lisbona, Tokyo, Rio, Nairobi, Helsinki, Denver e Stoccolma) con le new entry (tra cui Marsiglia, Bogotà e un personaggio che porta il nome di una città italiana, Palermo).
Non vi parlerò più della trama per evitare ulteriori spoiler, ma vi posso dire che le prime due puntate della seconda stagione ricalcano alla perfezione lo stile di quanto visto nelle prime due parti. Quando è stata annunciata la terza stagione, ho avuto il timore che ulteriori puntate rovinassero la storia della serie, vista la conclusione delle prime due parti. Tuttavia, posso rassicurarvi che – perlomeno queste due prime puntate – sono ben contestualizzate e non campate per aria. Un’altra cosa che si nota subito è la mano di Netflix: il budget è aumentato a dismisura, e questo fatto lo si percepisce in ogni inquadratura e nella moltiplicazione delle location, che ora abbracciano diversi continenti.
La Casa de Papel – Parte 3 è sicuramente iniziata con il piede giusto e ha il potenziale per essere all’altezza (e magari superare?) delle prime due stagioni. Non vediamo l’ora di sapere come continuerà la storia, e di capire se saprà ancora coinvolgere il pubblico, anche grazie alle new entry nel cast.
La terza stagione uscirà ufficialmente il 19 luglio, e stasera ci sarà un evento a Milano per il pubblico in cui verranno mostrate le prime due puntate. Noi, come detto prima, siamo stati alla proiezione stampa presso il cinema Anteo. Per questa occasione, oltre alla proiezione delle prime due puntate, parte del cast ha incontrato la stampa. A parlare ci sono la bella e spericolata Tokyo (interpretata da Úrsula Corberó), insieme al suo compagno Rio (Miguel Herrán); la tenera coppia Stoccolma e Denver (rispettivamente Esther Acebo e Jaime Lorente), e un nuovo tenebroso personaggio, Marsiglia (Luka Peroš).
Intervista con il cast
Abbiamo visto, avete visto, i primi due episodi… quindi inizierei a fare una domanda per ciascuno riguardo ai vostri personaggi. Parto da Ursula (Tokyo), perché alla fine è sempre colpa tua.
Úrsula Corberó: Io credo in realtà che sia colpa del professore, perché solo a lui poteva venire in mente di lasciare Tokyo su un’isola deserta per due anni. Non ha proprio senso come idea.
Quanto è importante il tema del femminismo, del ruolo forte della donna, all’interno della serie?
Esther Acebo: Sono molto contenta che tu mi abbia fatto questa domanda, perché effettivamente è una tematica importante per Monica (Stoccolma), che in questo caso non è solo una moglie, non è solo una madre, ma è anche una donna che prende le redini della sua vita, che prende delle decisioni, che vuole partecipare. Ci saranno dei conflitti, quello è sicuro, e il fatto di avere un figlio è una problematica aggiunta, ma sa cosa vuole e sa come raggiungerlo.
Giro la domanda anche a Ursula: ci sono anche una serie di scene in cui viene fuori il tuo personaggio quando si manca di rispetto alla donna, e in più c’è quella famosa scena in cui Nairobi dice che pensa al matriarcato. Quanto è importante il tema femminile?
Úrsula Corberó: In realtà questa non è una serie, credo, particolarmente femminista, però ha effettivamente dei personaggi femminili molto forti. Quando ho visto i primi copioni sono rimasta sorpresa per il ruolo che avevano di primo piano le donne anche a volte rispetto agli uomini. Qualcosa che di solito accade, ma che non si vede nelle fiction. Quindi le donne nella serie sicuramente sono DONNE a 360°, hanno una loro storia con qualcosa da raccontare e non si limitano ad accompagnare i personaggi maschili, ma hanno la loro vita e un loro potere. Sono come sono poi le donne nella realtà, la serie non accentua nulla di quello che è la verità, ed è molto bello che lo faccia in questo modo.
Luka, il tuo personaggio (Marsiglia) lo abbiamo intravisto, ma ancora è avvolto nel mistero. Vuoi dirci qualcosa tu, senza spoilerare nulla?
Luka Peroš: Buongiorno a tutti. Sì, non voglio spoilerare troppo, quello che posso dire è che è un personaggio nuovo, che è lì per proteggere la banda, per proteggere il piano. Un uomo di mistero, ma anche di azione.
Lancio la domanda adesso a tutti: quando si parla de La Casa di Carta, si parla sempre di questo straordinario successo planetario che è arrivato diciamo lentamente, che è arrivato un po’ più tardi. C’era qualcuno però tra di voi del cast che aveva scommesso su questo successo? Che aveva detto “io ci credo”?
Jaime Lorente: Enrique. Arturito lo sapeva, ne era convinto. Lo sapeva dall’inizio, quando nessuno ci credeva, pensavamo che sarebbe stata una serie che sarebbe andata bene, ma niente di esagerato. Lui invece era convinto che sarebbe stato un successo incredibile già dall’inizio. Quando abbiamo fatto le prime presentazioni alla stampa, il regista e noi attori ci dicevamo “ma sì, rimaniamo un po’ così, voliamo basso, vediamo di non esagerare e di rimanere cauti”, perché poi magari il pubblico si fa delle aspettative eccessive. Enrique invece lo sapeva già dall’inizio, anzi aveva detto “se la Spagna non è preparata, il mondo è preparato per questa serie”, invece anche in Spagna è andata benissimo.
La Casa di Carta, con le prime due parti, è stata la serie in lingua non inglese più vista su Netflix. Però c’è un altro aspetto che è sorprendente, che è la parte un po’ del cult, del mito: la maschera di Dalì è stata indossata durante manifestazioni in piazza o addirittura è diventata simbolo, in alcuni casi, negli stadi e durante le manifestazioni sportive. Questa parte ve la sareste mai aspettata?
Miguel Herrán: Noi non ce lo aspettavamo per nulla, è andato tutto un po’ di pari passo: il boom della serie, il successo e poi l’identificazione delle persone con, per esempio, la maschera come simbolo di rivoluzione. È stata una cosa molto graduale e naturale.
La maschera come simbolo di rivoluzione, mi fermo su questo punto perché trovo che sia interessante. Parliamo di delinquenti, cioè: rubare è sbagliato. Siamo d’accordo, no? La Casa di Carte invece è riuscita a creare idee molto affascinanti e voi protagonisti siete riusciti a rendere così tanto affascinanti questi personaggi, che le persone ci si identificano e li amano, personaggi che in realtà sono però dei delinquenti – cosa che è successa già nel cinema: la serie di Ocean’s Eleven ne è un simbolo. Abbiamo parteggiato per i cattivi in Goodfellas (Quei Bravi Ragazzi), però in questo caso si è ripetuta la stessa cosa. Anche questo ha un non-so-che di sorprendente.
Esther Acebo: Forse sono l’ultima che può parlare, ma adesso forse posso dato che faccio parte della banda (Lisbona), quindi posso decisamente dire che ci si può “innamorare” dei ladri. Probabilmente però, il segreto della serie è che ogni personaggio non è una “caricatura”, ma un vero essere umano, quindi al di là di essere dei criminali vediamo che sono delle persone come altre con cui possiamo empatizzare, oltre al fatto che però ovviamente stanno facendo qualcosa di illegale. Nella serie vediamo veramente questa empatia con i ladri, e questo ha poi creato questo fenomeno della maschera che viene utilizzata, ad esempio, nelle manifestazioni come simbolo di resistenza, di opposizione.
In Italia questo è passato tantissimo, perché la colonna sonora delle prime due parti è stata Bella Ciao, che è chiaramente LA canzone della Resistenza. Forse è perché questi ladri stanno “dalla parte del popolo” in qualche modo.
Luka Peroš: Credo che la canzone Bella Ciao, considerando appunto le sue origini anti-fasciste, abbia una ragion d’essere in questo caso, non solo in Italia ma anche in America Latina e in tutto il mondo, perché le persone sono veramente stufe, sono stufe delle grandi banche che rubano alle classi più deboli… e comunque Bella Ciao ha questo ritmo, questa anima, non è una dichiarazione politica, una presa di posizione politica. Sono semplicemente le persone che vogliono vedere questi ladri che poi rubano ai ricchi. Viviamo in un periodo in cui a livello politico ed economico c’è un pugno di persone che ha in mano la ricchezza del mondo, mentre tutti gli altri soffrono.
La terza parte de LCDP parte subito forte, c’è tanta azione. Quali sono gli ingredienti, o cosa c’è di diverso, cosa ci dobbiamo aspettare da questa terza parte? Sempre senza spoilerare nulla.
Miguel Herrán: Credo che tutto quello che si è visto, che è piaciuto molto nelle precedenti stagioni, lo abbiamo moltiplicato e accentuato proprio per il fatto che adesso è entrata Netflix e ovviamente abbiamo degli investimenti, abbiamo la possibilità di spendere molto di più, quindi tutto quello che sogniamo di fare lo possiamo fare.
Anche perché siete pieni di soldi… li avete presi alla Zecca…
Úrsula Corberó: In realtà nelle prime stagioni la banda si riunisce per una mera questione di sopravvivenza e per ottenere denaro, mentre invece adesso il motivo della loro riunione è qualcosa di diverso, è un motivo più emozionale e più profondo. Anzi, vi dico – e non dico altro – che spenderanno moltissimo per arrivare al loro obiettivo.
Domande dal pubblico:
Avevate già in mente di realizzare un seguito della prima e seconda parte, oppure è qualcosa che è nato, che avete ideato dopo il successo internazionale dello show?
Miguel Herrán: All’inizio La Casa di Carta doveva essere una serie autoconclusiva, senza nessun seguito. Poi, considerato il successo internazionale, e il fatto che proprio il pubblico chiedeva di sapere che cosa fosse accaduto ai nostri ladri, allora si è pensato di fare una terza serie. C’era il budget, e quindi l’abbiamo fatta.
Quindi ci aspettiamo anche una quarta stagione?
Luka Peroš: Tre settimane fa abbiamo già detto che ci sarà una quarta serie, ma non riveliamo niente, assolutamente niente sulla quarta serie.
I vostri “Robin Hood” hanno avuto questo successo secondo voi anche per il fatto che l’uscita della serie è coincisa con una crisi economica globale?
Luka Peroš: Sì. È quello che si diceva anche prima. Le persone stanno cercando dei “Robin Hood” perché sono arcistufe delle banche, della politica, delle promesse che poi in realtà non si concretizzano mai, mentre le persone continuano a soffrire. Più che cercare dei “Robin Hood”, stanno cercando degli eroi, e la nostra serie è tutta al contrario: i buoni sono i cattivi e i cattivi sono i buoni.
Esther Acebo: Le persone, quando vedono la serie, si entusiasmano e la apprezzano particolarmente perché, vedendo quello che fanno i nostri protagonisti, si rendono conto che in un certo senso possono o potrebbero fare anche loro questa unione, questa collaborazione, questa specie di famiglia che hanno creato. Si riescono ad identificare, quindi parteggiano per i nostri cattivi che in realtà sono buoni.
Domanda per Jaime Lorente (Denver): Come nasce la risata, bellissima, di Denver? È davvero la tua risata o è quella del personaggio?
Jaime Lorente: In realtà non è una mia risata, è la risata del personaggio, io rido in modo diverso – poi non so se meglio o peggio, ma sicuramente diverso. Durante la fase di casting mi sono reso conto che effettivamente si faceva particolare attenzione al modo di ridere di questo personaggio, quindi io di mio ho provato diversi tipi di risata fino a quando ho trovato quello che mi piaceva di più… quindi è una sorta di prendersi un po’ in giro, mi prendo un po’ in giro da solo con questa risata che mi sono “inventato”.
Nella terza parte i protagonisti si ritrovano a lavorare insieme dopo molto tempo. Come è cambiata la dinamica tra di loro? E anche nel cast, dato che avete detto che inizialmente non era prevista una terza stagione.
Úrsula Corberó: Noi siamo una famiglia, quindi a livello della fase di rodaggio non è cambiato assolutamente nulla. Poi ovviamente la parte “esterna” è cambiata molto, c’è un budget molto più alto, ci vedono in tutto il mondo, quindi il cambiamento lì è stato radicale. È curioso che comunque la serie sia molto intensa, richiede grande concentrazione, bisogna rimanere veramente in asse per lavorare bene e quindi io stessa, quando mi hanno detto che avremo girato la terza serie, mi stavo domandando se sarebbe cambiato qualcosa. Sicuramente alcuni cambiamenti sono stati notevoli, stiamo girando in Thailandia, e un cambiamento più drastico di così non potevamo certo averlo. Ma internamente rimaniamo una famiglia, e sul piano lavorativo continuiamo a lavorare nello stesso modo, abbiamo una fiducia assoluta gli uni negli altri, ci diciamo le cose in faccia quando dobbiamo dircele… quindi almeno dal mio punto di vista, internamente non è cambiato niente.
Esther Acebo: Io ho l’idea che nella terza serie sia cambiato tutto, quando in realtà non è cambiato niente: è come se ci avessero dato dei nuovi giocattoli per immaginare, per volare sempre più in alto, ma l’essenza de La Casa di Carta rimane la stessa, i personaggi sono in parte cambiati, io avevo delle scene con Jaime e con Enrique ma non ne ho all’interno della banda, quindi mi chiedevo, prima di girare, se sarebbe cambiato qualcosa… Ma come diceva Ursula, il lavoro è così intenso, dobbiamo lavorare così uniti, essere così aperti, che siamo veramente una piccola grande famiglia, quindi a livello della nostra collaborazione non è cambiato nulla.
Domanda per Esther (Monica/Stoccolma): Vorrei sapere da Monica, che è una mamma, come vive il fatto di aver deciso di crescere questo figlio con Denver?
Esther Acebo: Il padre biologico è sicuramente Arturo, però Denver è il “vero padre”, è lui che mi ha seguito nell’ultimo periodo della gravidanza, nel parto, nei primi anni, poi sarà presente con tutte le complicazioni del caso. Per quanto riguarda il mio personaggio, io sono una madre, una madre che non ha altri figli, solamente un bambino di due anni quindi imparo, imparo passo passo, considerato anche che ho deciso di essere una criminale, una ladra, quindi questo comporta ulteriori problematiche. Per quanto riguarda Arturo, non vi preoccupate, perché ricomparirà… però di più non posso dire.
Ricordiamo infine che la terza stagione della serie spagnola creata da Álex Pina e Jesús Colmenar sarà disponibile su Netflix Italia da venerdì 19 luglio.