Un tirannico maiale in una fattoria distopica. Il poco noto eroe di un fumetto Bonelli con la faccia di Marlon Brando. E soprattutto quella poesia del Manzoni imparata a memoria come l’Avemaria. “Ei fu. Siccome immobile, / dato il mortal sospiro, / stette la spoglia immemore / orba di tanto spiro”.
I primi ricordi che mi si accendono nella mente appena sento quel nome. Napoleone. Poi ovviamente i dettagli si moltiplicano, tra libri di scuola, caricature, dipinti. E film. Anche film mai realizzati. Come quel sogno incompiuto di Stanley Kubrick che la Metro Goldwyn Meyer non ebbe il coraggio di produrre. Ecco, a vedere il nuovo film di Ridley Scott, si ha l’impressione che il regista di Blade Runner, abbia avuto l’ambizione di fare quello che il suo predecessore non era riuscito. Un’epopea biografica. Un colossal in costume. Per raccontare l’Uomo (Joaquin Phoenix) dietro alla fredda corazza dello stratega militare, nonché Imperatore.
Quindi da una parte spettacolari battaglie e intrighi di potere; dall’altra la scoperta di un Napoleone più intimo, anche lui dilaniato da passioni e paure. Storia, con la S maiuscola, e storia, con la s minuscola. Eppure le due strade paiono seguire binari distinti, non si intrecciano, non comunicano. E per questo – purtroppo – il film non funziona. Certo, alcune sequenze sono sapientemente costruite e per certe atmosfere qualcuno potrebbe azzardare il paragone con Barry Lyndon – guarda caso, il film con cui si rifece Kubrick dopo la delusione per il suo Napoleon abortito. Ma siamo ben lontani. E me ne dispiace: a maggior ragione se penso che Scott aveva esordito con I Duellanti, capolavoro che (ironia della sorte) pareva esser molto più vicino al Barry Lyndon di Kubrick. E quindi probabilmente al suo Napoleon.
Ne I Duellanti due ufficiali della cavalleria napoleonica (Keith Carradine e Harvey Keitel) si sfidano in un assurdo duello che costantemente viene interrotto fino a durare tutta la loro vita. Qui la Storia si fonde con l’evoluzione della storia, in una raffinata riflessione sull’irrazionalità dell’odio.
Ma in Napoleon la trama principale intorno cui ruota la pellicola è la relazione tra Bonaparte e Giuseppina (sua amante, moglie e imperatrice), interpretata da Vanessa Kirby. Un balletto travagliato e volatile attraverso cui è osservata l’ascesa e la caduta del protagonista. Eppure le dinamiche amorose tra i due non vengono sufficientemente approfondite, impedendo così di empatizzare con il dispotico tiranno. Rimangono solo le grottesche immagini di un Napoleone frignone, infantilmente libidinoso, con un insuperato complesso edipico.
E dire che speravo in una chiave di lettura più esistenzialista! Durante la campagna d’Egitto, Napoleone fa spalancare un sarcofago di un Faraone. Si avvicina, quasi intimorito, alla mummia che giace di fronte a lui, come desideroso di apprendere da questa un messaggio da un altro mondo. D’altronde, come insegna Shelley nel sonetto Ozymandias, anche i faraoni sono stati, a loro tempo, i signori di un grande impero. Eppure agli occhi di Napoleone attualmente tutto è crollato, ricoperto dalla sabbia.
Il poster italiano, sotto al titolo, recita la tagline “Ha conquistato tutto. Anche l’Eternità”. Ecco. Sotto questo punto di vista sarebbe stato sicuramente più interessante: il dramma di un uomo che combatteva non tanto per la patria. E neppure per l’idealizzazione di un amore. Ma per la conquista dell’eternità.
“Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza”.
Recensione scritta da Francesco Guarnori di Remake all’italiana
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