Le Tribù del Mashco-Piro sono agglomerati di popolo dell’entroterra amazzonico che, secondo gli antropologi, rappresentano uno degli ultimi gruppi di umani “desocializzati” e “deculturalizzati” vale a dire che vivono isolati dal mondo moderno senza preoccuparsi minimamente dei cambiamenti generati e/o subiti dall’umanità. Per quanto strano possa sembrare, essi rappresentano gli ultimi residui del rifiuto di socializzare od evolversi, in pratica gli ultimi rimasti della “Umanità Tribale”.
Ma lasciamo per un attimo i nostri carissimi amici dei Mashco Piro e cerchiamo di fare ordine nel turbolento ottobre che è appena passato.
- La Electronic Arts ha chiuso Visceral Games. Star Wars è salvo, per il momento.
- Diversi Sviluppatori hanno pubblicamente dichiarato che il pesante clima del web gli impediva di dare notizie sui loro giochi per paura di far infuriare la community, descritta come “Una massa ai limiti del primordiale”.
- Hanno ufficializzato che i videogiochi sono da considerarsi disciplina sportiva.
Ora, voglio innanzitutto, perché sono di parte ed è buon giornalismo ammetterlo, prendere le distanze da Electronic Arts. Ma questa è una storia a parte, ed è una parentesi che chiudo subito.
Trovo in tutte le notizie che ho elencato nella lista sopra, notizie che ho ritenuto fossero degne di nota segnandole in quei coloratissimi Stick Notes che tengo a caso nella mia scrivania, una sorta di filo conduttore, una mano invisibile che mi tocca e mi sussurra sottovoce: “It’s Business, Baby.” Già, perché dietro e tutte e tre le scelte è chiara l’equazione “Mercato + Giocatore” che prende a seconda del campo o dell’argomento trattato, iperbole differenti. Perché, sunto di tutto quel che di squisitamente Off-Topic è avvenuto in queste settimane è che il Mercato è cambiato. Siamo Cambiati noi, sono cambiati i tempi, è cambiato quasi tutto.
Nella Vicenda Visceral mi rimane particolarmente impresso che il dato delle vendite di Dead Space 2, 4 milioni di copie e rotti, fosse stato ritenuto insoddisfacente dal Publisher Americano, che ha così portato la serie a cambiamenti probabilmente ingiustificati e frettolosi, con la logica conseguenza che l’essenza del titolo stesso è venuta meno, evaporata,sparita. Al suo posto è venuto fuori uno strano Ibrido, un TPS Horror/Splatter che, nel mio caso, ho abbandonato al Nono Capitolo.
Il mercato è cambiato. Così tanto che non bastano più vendite tutt’altro che negative. Ma cosa, a questo punto, è spunto di riflessione per noi tutti? Cosa può spingere noi videogiocatori a porci domande colme di inquietudini e di cupi interrogativi sulla nostra Principale passione? Lancio una mia opinione sul tavolo con tono tutt’altro che scanzonato perché mi tocca molto da vicino e sento di dover essere serio: la paura del cambiamento.
In psicologia, la paura del cambiamento è quella sensazione di non essere pronti o preparati ad una modifica delle abitudini o delle proprie regole quotidiane, che interessano qualsiasi settore o toccano qualsiasi campo della nostra vita: Lavoro, Famiglia, Relazioni o altro. Nel campo specifico dei videogiochi, si è assistito, negli ultimi anni, al totale per alcuni di noi troppo rapido cambiamento nel concetto di videogioco. Sono nate tipologie di gioco, sono cambiati meccanismi e si sono arricchiti di contenuti e di meccaniche anche esterne che lo hanno reso diverso rispetto a quanto poteva esserlo quattro o cinque anni fa. La diatriba sul Single Player che sta morendo è una delle questioni preoccupanti che mi è capitata di sentire. Perché, se muore il single player, muore un pezzo intero e una colonna portante del saper essere e voler “Essere” videogioco. Profeta di Sventura fui, quando, qualche tempo fa storcevo il naso davanti alla cocciuta insistenza di Publisher o Software House di propinare meccaniche e modalità di gioco che per quanto potessero essere divertenti secondo me avrebbero finito col rovinare il mondo videoloudico. Ma la spietata equazione Mercato + Giocatore ancora una volta ha preso ha pugni l’idealismo, e così, provo anche io paura nel cambiamento, nel vedere una software house chiudere dopo che, con una incredibile naturalezza, Il suo Boia annuncia con candore quasi bambinesco ed innocua serenità che “Il mercato vuole altro, i single player stanno morendo.”
Ma che cos’è il mercato? Che cos’è il giocatore Odierno? Chi è questo mostro divora titoli con i suoi schiavi senzienti sta modificando il modo di concepire e fare gaming, che fa la mano invisibile andando in maniera impercettibile a modificare le nostre abitudini a nostra insaputa? Sostanzialmente nessuno. Non esiste. Il Mercato non esiste perché è formato da persone. Sono i Giocatori che fanno il mercato. E allora forse il cambiamento non è partito dall’alto. E’ partito, in maniera involontaria da noi, soltanto da noi. Ed oramai coinvolge tutti. Sia il giocatore come singolo sia come parte di un gruppo più grande (Community, pubblico o altro) che tesse le fila del suo stesso esser dato in pasto alla cronaca con epiteti negativi. Infatti, in due settimane, diversi sviluppatori sono usciti allo scoperto dicendo, in parole povere, di essere stati condizionati dal giudizio della community di Internet o comunque, parzialmente perplessi di fronte alle reazioni spesso esagerate del popolo del web di fronte a scelte, dichiarazioni o annunci fatti da loro o dai propri datori di lavoro. Davvero? Davvero chi, fino a poco tempo fa, doveva decidere il mercato, ha piegato il capo così velocemente al “Popolo Di Internet? Siamo proprio noi. Noi, con le nostre scelte, i nostri click, le nostre parole, fosse abbiamo compromesso il mercato. Lo Abbiamo plagiato, abbiamo reso le piattaforme online mercati invivibili pieni di gente che fa gara a chi c’è l’ha più grosso, ed abbiamo causato la sbandata del nostro amato business. Come? Scegliendo. Scegliendo di aprirci all’ Online a tutti i costi, scegliendo di sottostare ai DLC a pagamento, scegliendo di comprare per poter primeggiare piuttosto che affrontare la competizione in maniera sana. Abbiamo trasformato il “Piacere del Disco” in “Tanto se fa schifo disinstallo” o “Tanto se non vinco ricarico la carta”. E sbeffeggiamo ed insultiamo chi tenta di proporci, guardando con diffidenza e scherno, nuove idee, o chi, semplicemente, non si piega a dinamiche di mercato che fanno del casual gaming il proprio cavallo di troia. Proprio questo ha reso il mondo videoludico lo specchio della società spesso deviata in cui viviamo. Non importa chi tu sia o cosa hai fatto per me, non importa le tue competenze o per chi lavori. Se non fai un gioco come il pubblico desidera, non sei nessuno. Perché ehi, io sono il tuo sostentatore con un computer che può commentare, e tu non sei nessuno, ok? Tanto poco male. Alla fine vincerò io, e nella maggior parte dei casi farai la fine di Visceral Games.
Perché essenzialmente, nel videogioco è diventato importante solo vincere. Vincere, prevalere sul tuo diretto avversario. Trascendere la competitività. Nel lustro appena passato si è vista una impennata decisiva della pratica dei cosiddetti “E-Sports”, per i meno informati o digiuni di terminologie tecniche, Tornei e competizioni a giochi competitivi come League Of Legends, Call of Duty, Overwatch. E giorno 28 Ottobre è da considerarsi data storica per tutti gli amanti di questa disciplina. E mai locuzione fu più azzeccata, in quanto il Comitato Olimpico ha di fatto dato una significativa apertura all’ ingresso degli E-Sports nel parco delle Discipline Olimpiche. In pratica i videogiocatori sono, almeno per quanto concerne determinati tipi di gioco, sportivi ed Atleti. Certo, è solo una apertura, per altro mancante di requisiti che gli sport più tradizionali possiedono, ma è, usando una frase nota, un piccolo passo per l’uomo. Ma ora un futuro diverso si staglia all’ orizzonte: la sindrome da tribù Mashco-Piro.
Il problema è che io sono vecchio. E come me, molti altri. Spesso si fatica, si diffida del cambiamento radicale. Ed onestamente questa apertura mi puzza. Mi puzza perché sembra destinata a modificare il concetto originale di gioco, di opera ludica, di divertimento. Sostanzialmente è la glorificazione delle scelte di mercato recenti. Tutto torna. Il Mercato vince, strozza la tradizione, e quel che può sembrare discutibile, quello che anni addietro sembrava improbabile potesse riuscire ad imporsi come status simbol, adesso è la normalità. Addio miei amati giocatori da salotto, con bevande energetiche e caffè caldo alle due del mattino, a combattere contro il boss di turno. Addio Joypad sudati e rutto libero. Adesso avremo regole, competizioni, codici etici. Avremo il Nerd Olimpico, cuffia Sennheiser al collo ed occhiali a montatura spessa veloci con le tastiere e col mirino. Avremo generazioni di spacchettatori seriali a Fifa e pieni di Spirito Olimpico quando condivideranno le loro vittorie in streaming o faranno interviste su quanto quel’ avversario, magari schernito in partita, fosse stato onorevole (Che Io ricordi in certe partite Online ho letto gli insulti più coloriti in vita mia, anche fatti alla mia persona).
Io non sono pronto. Fatico a stare dietro al cambiamento. E’ il videogioco che verrà? Il mondo è cambiato? Mi Rassegno?
Catastrofismo dilagante come un temporale autunnale. Ma il concetto è un altro: è davvero la rivoluzione di cui il videogioco ha bisogno? La somma delle Parti (Decisioni di Publisher, Potenza della Community, Leggi di Mercato) hanno ormai solcato una nuova strada e interrotto quella oramai trentennale in maniera definitiva? Sembra quasi uno scisma religioso: da un lato i Radicali, gli incrollabili, sempre reticenti alle cesure nette di sistema; dall’ altro i promulgatori della nuova via, la nuova strada da seguire perché i tempi sono oramai cambiati. Se davvero nelle prossime, o nelle prossime ancora, Olimpiadi vedremo schermi, Joypad e “Professionisti” regolarmente riconosciuti dello Sport competitivo videogioco sulle nostre televisioni, allora forse si, qualcosa sarà cambiato. Il cambiamento corre veloce ma continua a puzzarmi: ho imparato che spesso, sono motivazioni diverse quelle che spingono al cambiamento. Siamo come “Million Dollar Players”: siamo l’onda distruttiva del business, siamo quelli che lo trainano e che lo plasmano con le loro scelte. E più che dignità sportiva, sento che siamo intrisi di valore economico. Mi puzza questo, mi puzza il simbolo del dollaro negli occhi di chi ci guarda e ci propina il nostro amato prodotto. Mi puzza l’essersi miscelati al dio denaro quando prima videogiocare significava evadere, divertirsi, socialzizare, concetti nettamente più basilari. I tempi cambiano… e non ci si abitua.
Sono forse lamentele di un vecchio seduto attorno al fuoco, ma non è detto che io sia l’unico, o che siamo solo due, tre, quattro. Magari siamo un gruppo più folto, siamo una comunità ben definita. Ed è qui che voglio mettere di nuovo in mezzo le tribù amazzoniche che si sono allontanate dal mondo. Chissà se presto i puristi del videogioco non facciano la stessa fine. Magari si creerà un secondo modo di intendere il videogioco, e finiremo come i Mashco Piro: il cambiamento gli puzzava. E sono scesi dal treno.