La storia di P.A.M.E.L.A. è una di quelle che mi fanno innamorare del mondo dei videogiochi. Vedere una software house minuscola, tutta dedita allo sviluppo di un suo titolo, supportandolo con continui aggiornamenti e patch, per quanti pochi giocatori possa avere, è sempre un‘emozione per me. Insomma, sono un romantico dei videogiochi in questo senso. P.A.M.E.L.A., come dicevamo, ha avuto (e sta avendo tuttora) un lunghissimo supporto. NVYVE Studios ha iniziato a lavorare a P.A.M.E.L.A. nel lontano 2015 e il gioco, nel corso dei mesi e degli anni, ha preso forma. Una vera e propria gestazione per un titolo che è considerabile proprio il primogenito di NVYVE Studios, che comunque, al momento, non sta disdegnando altri progetti su cui si trova parallelamente al lavoro. Ma andiamo a vedere che titolo è P.A.M.E.L.A.
All’avvio del gioco ci viene data la possibilità di modificare alcuni parametri di difficoltà. Potremo, infatti, scegliere di ottenere solo armi da mischia, di aumentare il danno subito dai nemici, il loro numero o la facilità con cui ci troveranno e, infine, il permadeath, che provocherà il reset dell’intero mondo di gioco. L’attivazione di tutti questi parametri provocherà un bonus nei Genome Points ottenibili. Più tardi andremo ad esaminare la loro utilità all’interno di P.A.M.E.L.A.
Una volta avviata la partita ci toccherà aspettare un tempo vergognosamente lungo per il primo caricamento. Dopodiché il nostro personaggio si risveglierà in modo alquanto tormentato in quella che sembra essere una camera criogenica. Alla nostra uscita ci troveremo in quella che sembra una stanza d’ospedale e in mano avremo un personaggio che ci parlerà sotto forma di ologramma. Si tratta di PAMELA, una sorta di Cortana che ci darà le prime informazioni su dove ci troviamo e cos’è successo.
Una volta introdotti nella nostra (poco) ospitale stanza, saremo armati di un dispositivo con cui scannerizzare gli oggetti che ci circondano. Il loot ha un aspetto fondamentale nella nostra progressione. Esaminando contenitori, valigette e persino cestini della spazzatura potremo trovare materiale utile per la nostra sopravvivenza. Tuttavia, alcuni contenitori risulteranno bloccati e potremo sbloccarli solo eseguendo dei “minigiochi” per hackerarli. Se non si riesce nell’impresa, l’allarme attirerà i Seekers più vicini. Si tratta di guardie della struttura che non ci metteranno molto a farci fuori.
La mappa di gioco è complessivamente divisa in 4 macroaree, dalla difficoltà crescente. Ad inizio gioco, ovviamente, sarà disponibile solo la prima. Ad ogni morte ci verrà chiesta la zona in cui vorremo essere respawnati. Purtroppo, se la prima è l’unica sbloccata, dovremo ripetere la fase di “risveglio” iniziale. Qui accade una cosa particolare. La stanza in cui ci si risveglia è diversa e infatti (a meno che non si abbia il permadeath attivato) andando sul luogo della nostra morte troveremo il cadavere del nostro personaggio precedente. Esaminandolo potremo prelevare tutto il suo equipaggiamento.
Fortunatamente il gioco non mancherà dal darci mezzi per evitare questa spiacevole evenienza. La nostra “curiosità” con il loot verrà premiata. È molto facile trovare materiali come acciaio e vetro, più raro è il cibo. A volte, però, ci capiterà di trovare scudi, caschi o altri pezzi di equipaggiamento fondamentali per la nostra sopravvivenza. Questi oggetti si trovano soprattutto nei contenitori hackerabili.
Tutti questi oggetti vengono conservati poi nell’inventario, richiamabile mediante un’interfaccia ostica e parecchio disordinata: l’AARMS. Un dispositivo equipaggiato sul nostro braccio (che ironia!) che ci permetterà di consultare diversi aspetti oltre all’inventario.
Il titolo, pur essendo un survival horror, non disdegna altri generi, ad esempio il GDR, da cui prende una dinamica importante: i punti esperienza. Ad ogni morte vedremo i nostri punti esperienza incrementare in base a quello che abbiamo ottenuto durante la nostra “vita”. Ad ogni aumento di livello ci verrà assegnato un tot di Genome Points, spendibili per ottenere diversi power-up per il nostro personaggio.
Appena usciti dalla stanza troviamo una nota scritta in un PC. Questa ci informa del fatto che una sorta di infezione si è diffusa nella struttura e, infatti, più avanti nel gioco troveremo delle specie di zombie che saranno pronti a farci fuori in pochi colpi. Potremo decidere di combatterli ma questa risulta una scelta abbastanza sconsigliabile dato che la morte sopraggiunge dopo appena 4-5 colpi subiti. Meglio aspettare di avere un’arma a disposizione, cosa non facile dato l’ambiente avverso.
Dal punto di vista tecnico, P.A.M.E.L.A. risulta molto piacevole alla vista. L’ambiente è ben realizzato e la location è abbastanza variegata. L’ottimizzazione, però, è decisamente migliorabile. Tuttavia, il titolo è ancora in accesso anticipato quindi si può ancora rimediare prima della sua uscita ufficiale. L’audio, invece, è ridotto all’osso. Pochi i dialoghi con i vari robot presenti nella mappa, qualche registrazione di Pamela e pochissima musica di sottofondo. Purtroppo sono presenti alcuni glitch grafici che comunque non inficiano la progressione del gioco. Si tratta di qualche compenetrazione poligonale e qualche Seeker che ogni tanto impazzisce.
In conclusione possiamo affermare che P.A.M.E.L.A. sia un survival horror con una buona base ma c’è molto da lavorare. L’esperienza di gioco va levigata a partire dall‘ottimizzazione grafica e c’è parecchia strada da fare anche sul punto di vista del sonoro. Il titolo comunque resta abbastanza piacevole da giocare ma non eccelle per originalità né per fasi di gioco particolarmente emozionanti.
[review]