Ormai più di una settimana fa si sono tenuti gli Italian Video Game Awards. Inizialmente chiamata “Drago d’Oro” la cerimonia si è tenuta anno dopo anno, andando a migliorare alcune cose e ad ampliare il suo pubblico. Ma è ancora decisamente lontana dalla perfezione. Andiamo a vedere perché.
La cerimonia si è tenuta il 14 marzo presso il Teatro Vetra di Milano ed è stata presentata da Rocco Tanica e Lucilla Agosti. Le categorie presentate sono state tante. Sono stati premiati i migliori personaggi, il miglior game design, la migliore trama, il miglior gioco per famiglie e così via. Niente di nuovo per degli “awards videoludici”, insomma. Cos’è andato storto allora?
Innanzitutto una cerimonia non è degna di essere chiamata tale se manca dello spettacolo. Non poteva essere certo un elenco di premiazioni una dopo l’altra, bisognava in qualche modo intrattenere il pubblico. Ecco, questo è stato fatto nel modo peggiore, con livelli di cringe incredibili.
Lo spazio tra una premiazione e l’altra è stato, infatti, riempito con dei quiz. Fin qui niente di male, direte voi, sembra un’idea ragionevole. Teoricamente sarebbe così. Solo che le domande di “chi vuol essere videoghemario” (chiaramente sulla falsariga di “Chi vuol essere milionario?”) sono risultate incredibilmente banali e imbarazzanti. Esempio? Giudicate voi.
Insomma, c’è una forte discrepanza tra il target di un evento del genere (non televisivo, andata in onda esclusivamente online e quindi dedicata, in teoria, ai più appassionati del mondo dei videogiochi) e il target di questa sorta di quiz. E non c’era una domanda che non fosse imbarazzante e fuori luogo. C’è da dire che i modi di “colmare i vuoti” tra una categoria e l’altra non scarseggiavano. Si poteva fare un breve focus, titolo per titolo, in modo da evidenziarne i pregi che gli avevano fatto ottenere la nomination, ad esempio. Tuttavia, il quiz non è un’opinione che mi sento di scartare a priori. Ma certamente proposto in modo diverso. La parte più triste è che sembra davvero che gli autori della cerimonia pensino di avere a che fare con un medium per bambini. E si torna così ad uno dei luoghi comuni più antichi di sempre. Quasi peggio di quel vecchio bontempone di Trump che se ne esce con “i videogiochi rendono violenti”. Quasi.
Ad ogni modo, il problema non è solo il dimenticabilissimo “Chi vuol essere videoghemario?” ma anche i presentatori. Tanta indubbia la loro esperienza (Wikipedia e curriculum parlano chiaro) quanto la loro capacità nel settore videoludico. Come se a presentare gli Oscar mettessero Massimo Boldi, per dire. C’è stata una forte negligenza, a mio avviso, degli autori nei confronti della scelta dei presentatori. Bisognava valutare anche il tipo di cerimonia, perché per intrattenere non basta mettere dei presentatori qualsiasi. Non si può sentire chiamare i videogiochi ripetutamente “giochini” in una cerimonia che aspira a diventare quasi internazionale. Ben lungi dai The Game Awards, per carità.
Tuttavia non c’è da disperarsi. Se gli autori dell’evento si rivelano dotati di spirito autocritico, potrebbero ben pensare di sostituire i presentatori in modo da preferirgli una figura più esperta nel settore. Magari una “promozione” per qualcuno che quest’anno è stato in giuria, sicuramente più esperto in ambito videoludico. Si potrebbe anche pensare ad affiancare un giornalista videoludico ad uno dei due presentatori. Come dicevo prima, l’esperienza di Lucilla Agosti e Rocco Tanica come presentatori è indubbia. Quindi la loro abilità da conduttori, affiancata dalla presenza di un giornalista del settore, esperto quindi nel tema trattato, non potrebbe far altro che giovare agli IVGA, in modo da avere una conduzione dinamica e mai noiosa, ma pur sempre competente in materia.
Non è tutto da buttare, quindi. Basti pensare a com’è nato il “Drago d’oro” nel lontano 2012 e vedere come si è evoluto fino all’edizione di quest’anno. Gli organizzatori si sono dati da fare, insomma, per far avere alla cerimonia un tono sempre più internazionale. Risulta essere fondamentale la professionalità e la competenza, per una cerimonia che ha il potere di affermarsi sempre più e, perché no, scardinare anche quei soliti luoghi comuni sul media. Come, ad esempio, “i videogiochi sono per bambini”, cosa che (assurdamente) non ha fatto altro che confermare con quel fastidioso quiz.
Ci auguriamo che, nella prossima edizione, potremo vedere più professionalità e meno “Chi vuol essere videoghemario?”, in modo da celebrare dignitosamente i videogiochi migliori. Viva gli IVGA!