E’ notizia di poche ore fa di come Amy Henning, rinomata personalità del mondo videoludico (Legacy of Kain, Uncharted) abbia denunciato l’ipocrisia, a quanto pare, che aleggia tra il pubblico e come tutto ciò si sia riversato in dei costi proibitivi con un magro riscontro economico dei videogiochi in single player AAA. Queste lamentele sono andate ad unirsi alle rumorose dichiarazioni, sempre in merito all’argomento, di Remedy, che nella figura del responsabile delle comunicazioni Thomas Puha, pare essersi levata qualche sassolino dalle scarpe… Seppur non tutti, forse.
Ma quanto queste dichiarazioni devono avere peso sul pubblico? Forse queste personalità si sbagliano? E’ davvero colpa dei videogiocatori se si é praticamente arrivati a una situazione di stallo nel mondo dei single player AAA non utile per nessuno? Neanche per il sottoscritto che cerca di guadagnarsi il pane con l’informazione e la divulgazione legata ai videogiochi? Meno videogiochi e meno lavoro, d’altra parte.
Terreni pericolosi
Entrando pienamente nel merito della vicenda, l’autrice ha da poco dichiarato come i videogiochi single player ad alto budget siano molto richiesti con una storia coinvolgente e uno sviluppo lineare dalla popolazione videoludica, per poi essere direttamente guardati, mentre sono giocati da altri, direttamente in rete, in molti casi.
Quello che però sorprende di più delle dichiarazioni é legato al passaggio in cui la director ha asserito di come ci siano delle modalità di produzione che”per venire incontro alle richieste dei videogiocatori di avere sempre di più, hanno fatto lievitare moltissimo i costi”. La dichiarazione di Puha in questo senso é molto simile, con un focus che spiega come “Il livello di aspettativa da parte dei giocatori nei videogame single player AAA è diventato molto alto per quanto riguarda durata del gioco, caratteristiche e qualità dei valori produttivi”.
Ma quali sono queste caratteristiche elevate dei giochi richieste dal pubblico a cui alludono e mettono sul banco degli imputati entrambe le dichiarazioni?
Ovviamente, esaminando il conformismo dilagante del medium nel settore single player AAA, che da quantomeno una decina di anni non fa sbocciare più nuove idee tra open world tutti uguali e storie lineari in singolo che propongono sempre la stessa salsa, queste richieste di caratteristiche elevate in termini di innovazioni del gameplay non esistono per quanto riguarda il grande pubblico fidelizzato al tipo di giochi in oggetto.
Questa constatazione fa quindi risultare solo elevato il fatto di proporre in quantità sempre più elevate, mischiandole tra di loro, caratteristiche che esistono già in essi e riproposte ancora.
Aumentare banalmente le prestazioni tecniche dei giochi e fare mischioni di caratteristiche che esistono già da tempo, ancora una volta, non ha aiutato, visto che già un optimum delle prestazioni nella godibilità tecnica si era praticamente già raggiunto nella scorsa generazione facendo curiosare il pubblico verso un altro approccio al videogioco. Se ci si fa caso l’ultimo scarto qualitativo importante, che conferma questo optimum di soddisfazione nella tecnica e saturazione della stessa brodaglia di gameplay da parte del giocatore, lo si é raggiunto proprio nel 2005 con il cambio di testimone da Ps2 a Xbox360, dove quindi il passaggio importante verso sistemi legati esplicitamente alla giocabilità come Wii é stato lampante.
Se si riesce a vendere 100 milioni di unità con il motion controller, e se anche gli hardcore gamer (intesi come amanti viscerali e a tutto tondo del buon videogioco) ad acquistare la console fossero stati appena 1/5 del totale degli utenti Wii, spinti da apertura mentale verso altro, che é sintomo di inferiore o azzerato condizionamento esterno, contro la valanga di casual gamers disattenti e plasmati dalla pubblicità e gente da fidelizzare, si conterebbero comunque 15 milioni di grandi appassionati videoludici. Milioni di persone che quindi dimostrano un ragionamento personale e chiaro, senza condizionamenti non confacenti o comunque per la maggiore su questa scia.
15 milioni, inoltre, che corrispondono solitamente allo zoccolo duro e più indipendente di pensiero che da sempre caratterizza la popolazione videoludica fin dagli esordi. Questa considerazione deriva dal fatto che il media era proprio nato per nerd dalle grandi capacità di spaziare in vari argomenti ed essere indipendenti nel pensiero. Negli anni ’80, con l’entrata in scena di Nintendo, il videogioco non era sdoganato come adesso per il grande pubblico e nonostante le trasformazioni, a tutt’oggi questo zoccolo duro di giocatori continua ad esistere.
A questi andrebbero ad aggiungersi almeno altri 10 milioni di utenti Wii, meno appassionati di videogiochi ma con la stessa apertura mentale o simile. Questo porterebbe a circa 25 milioni di persone che sanno totalmente o abbastanza quello che vogliono.
Un numero importante per dare un punto di riferimento chiaro a una grande massa di sviluppatori AAA che non fanno che inseguire il profitto istantaneo oggigiorno, accontentando subito le richieste del pubblico, visti gli alti costi dei giochi, per paura di fallire o non guadagnare abbastanza. In cui sicuramente si inserisce anche la questione della diatriba sul single player tra venditore e acquirente.
Ma ovviamente la strategia di fare una commistione tra gente che sa cosa vuole e gente più distratta e meno consapevole non ha funzionato inquanto manovra confusa e poco allettante, quando si vuole comunque subito arrivare a un grosso guadagno.
Nello specifico, infatti, queste aziende che si sono buttate sulla “nuova” tecnologia di Nintendo, e facendo questo misto, lo hanno fatto male pensando al profitto facile dettato dai numeri enormi dei casual e dei giocatori da fideizzare, optatando per relegare l’esperienza con altri motion controller quali Move e Kinect a brand di scarsa importanza, fuori dai radar del clamore mediatico, che non hanno spronato il grande pubblico ad evolversi e hanno costretto la parte più piccola di giocatori consapevoli a trovare soluzioni da altre parti per continuare a giocare con soddisfazione e gratificazione.Non rimanendo quindi fidelizzati a un sistema che seguivano.
Come é uscito uno Zelda con il motion controller come Skyward Sword, insomma, era quindi giusto supportare in esclusiva nei controlli di movimento un capitolo di God of War per la Ps3, per esempio. Ma ciò non avvenne, ovviamente, relegando queste periferiche a un triste destino e all’oblio in breve tempo.
Uno sfogo normale e sincero, quindi, da una piccola ma rilevante fetta del pubblico totalmente cosciente e più cosciente, che però poi é rientrata in gran parte forzatamente a causa sempre dell’aggressiva pubblicità Sony e Microsoft su cui escono la maggior parte dei giochi di questi sviluppatori paurosi, non consci e vogliosi immediatamente di denaro, che non vedendosi supportate nel motion controller a causa di scelte sempre troppo conservative e per nulla clamorose, ha preferito tornare sui propri passi, continuando ad aggredire indirettamente la concorrenza innovativa di Nintendo tramite delle ottime pubblicità. Questo atteggiamento ha ovviamente sfiduciato di conseguenza anche gli sviluppatori a cambiare, tra quelli che erano pronti a farlo, tramite spot che hanno dato i loro frutti sul lungo termine sul pubblico. Non a caso sia Xbox360 che Ps3 si sono fermate a soli 15 milioni di unità dal record personale di Wii.
I più grandi e venduti prodotti di intrattenimento sotto il marchio Sony e Microsoft, non hanno fatto eufemisticamente troppo crescere mentalmente la larga utenza con console e titoli annessi, e non si sono tenuti, repetita iuvant, quei player con un pensiero già cresciuto e indipendente o abbastanza indipendente, con progetti davvero ludicamente poco stimolanti. Idee poco stimolanti a cui vanno ad aggiungersi, per confondere il pensiero, la già citata pubblicità.
Battage pubblicitari che hanno convinto la grande utenza ad acquistare comunque, pur sempre rimanendo nella soglia dei 6 milioni di copie dei vari titoli in singolo, e che ha fatto riversare la bontà degli spot in prodotti di scarsa attrattiva, facendo scappare gran parte dell’utenza di larghe vedute verso i prodotti Nintendo, magari portatili o verso gli indie.
Utenza quest’ultima che é stata sostituita come guida, forza portante delle vendite, nei giochi single player (ma non solo) da altra meno aperta e lungimirante. Il grande successo del mercato indie, molto variegato e inventivo a livello di gameplay, che logicamente non é diventato quello di riferimento nel mondo videoludico, in accordo con la ristretta cerchia di persone con larghe vedute che li seguono, non é un caso, quindi.Certamente questa sostituzione non ha fatto variare i numeri distribuzione di questo tipo di giochi, rimasti sulla soglia dei 5-6 milioni già specificata.
Quando c’é stato questo scambio di utenza in questo tipo di videogiochi, si è costretto il nuovo gruppo di utenti di questi titoli, ovvero quelli molto fidelizzati ai videogiochi del genere, i casual gamer e i gamer da fidelizzare a cui piacciono, a comportarsi nei seguenti modi, adesso esplicati.
La parte del gruppo fidelizzata ai videogame da tempo, ma non per questo troppo aperta mentalmente, a comprare sempre nonostante il calo di qualità perché condizionata parzialmente dal marketing e perché troppo affezionata al media. Media per cui certe grosse aziende non gli hanno fatto trovare sfogo per la propria passione in altro di innovativo.
A questa si aggiunge la nuova utenza casual e da fidelizzare a cui piacciono i titoli in singolo che però viene confusa ampiamente dalle operazioni di marketing. Unendo queste due parti in un unico gruppo di persone che seguono i single player, quindi, i risultati sono prima di di stallo, giustamente, nei numeri, come sta avvenendo adesso, e addirittura in futuro potrebbero addirittura crollare. Io non ci sto a un nuovo caso Atari che faccia fallire tutta o quasi l’industria, onestamente. Anche perché la pluralità é anche il sale della vita e senza confronti, magari con solo Nintendo al comando, non si riuscirebbe a capire più cos’é meglio e cos’é peggio nel mondo videoludico e non solo.
This is for the players? No, decisamente. E quando si é consapevoli che i propri prodotti sono al collasso qualitativo, ovviamente si cerca di coinvolgere il pubblico emotivamente con slogan discutibili che nulla hanno a che vedere con il gaming, per far capire che l’acquirente fa comunque la scelta giusta.
Ma servirsi della pubblicità per convincere il pubblico che quello che si sta facendo é giusto, che i propri prodotti siano apprezzabili, senza il supporto sufficiente della validità del prodotto in se, se porta a risultati soddisfacenti per una durata imprenditoriale ricca in breve tempo, non risulta una strategia giusta per le lunghe prospettive. Prospettive magari meno ricche ma sicuramente più stabili che non fanno mancare il lavoro a nessuno.
Inoltre una strategia del tutto e subito del genere risulta controversa nei confronti del consumatore, visto che non gli si vende la qualità di un gioco ma una qualità fittizia conferita dagli spot a rotazione continua che dicono, come certi youtuber che si vogliono accattivare il pubblico con ogni mezzo, “lo stiamo facendo per voi giocatori”.
Confusione e affini
Tutto ciò, tra rigidità di scelte di mercato, poco coraggio nell’innovare, scegliere di seguire ciecamente il pubblico e pubblicità a tutto spiano da parte di tanti sviluppatori, ha portato a una curiosa ambivalenza nella grande parte di acquirenti del gioco in singolo tripla A, probabilmente spiegabile nella maniera che segue. Si ha a che fare quindi con un’utenza che si é ritrovata condizionata dalla pubblicità mentalmente e anche dal richiamo del marchio, che ha cominciato a pensare inconsciamente che non esistesse altro da poter fare per poter rendere i giochi AAA stimolanti, pur desiderando in cuor loro una svolta vera. Una svolta che però é anche bloccata in uno dei suoi sbocchi più naturali, curiosando altrove, visto che queste persone non non si vogliono riversare nei giochi “per bambini” di Nintendo ( più spanne sopra alla concorrenza in termini di inventiva), ampiamente demoliti da campagne marketing avversarie e dalla rigidità della casa di Kyoto nell’ampliare il proprio raggio in maniera più decisa anche a giochi dalle tinte più adulte.
Questo processo mentale quindi si lega alle ingenue e inconsce dichiarazioni dello stesso popolo videoludico che si rifanno al fatto che quello che serve é quello che già c’é e che non diverte in linea generale come dovrebbe e non fa crescere più, pur chiedendone paradossalmente ancora. Servirebbe altro, questa gente lo sa in cuor suo, ma per confusione e condizionamento legato alla pubblicità si insiste ancora in concetti che hanno esaurito la loro utilità. Non si tratta quindi di ipocrisia, ma di una sincera ammissione di confusione mentale non più affidabile per chi sviluppa, avendo esaminato i dati precedenti.
E in questo senso le stesse dichiarazioni di questi addetti ai lavori paiono più girare attorno al vero problema, magari per controversie interne agli studi di sviluppo, o per non fare meste figure nel non aver capito il potenziale anche distruttivo della voce di internet nell’annientare il mestiere di molti programmatori che hanno pensato solo, in questi anni, ad accontentare le richieste del pubblico, senza più affidarsi al proprio ingegno di lavoratori del settore che conoscono meglio i videogame dell’utente finale, lavorandoci a strettissimo contatto.
In questo caso, quindi, la colpa non é di chi compra il gioco ma di chi produce nell’essersi fatto assorbire dal soldo facile e immediato senza pensare abbastanza a un tipo di prospettiva non conservativa, facendo scappare chi aveva ampie vedute, e non educando di conseguenza il pubblico nuovo o più inconsapevole a pensare abbastanza per abbattere la soglia e superarla abbondantemente dei 6 milioni di vendite di questo tipo di giochi.
Risulta quindi inutile denunciare chi non ha nessuna colpa (perché parlare solo del pubblico, altrimenti? Si tratta solo del commento di un dato senza livore? Bene, però si attribuiscono comunque delle cause della situazione al pubblico, e solo a lui), visto che i videogiochi sono rimasti un hobby per molti che a nessuno nei piani alti più importanti, a parte Nintendo, interessava realmente far crescere. In ogni caso, capisco anche la dimensione umana di queste persone che denunciano. Quindi é probabile da parte loro che si sia trattato solo di un passo falso che può tranquillamente rientrare in futuro.
Tra l’altro é notizia recente che soltanto Shigeru Miyamoto ha rilasciato dichiarazioni in cui la casa di Kyoto cercava persone che si interessassero un po’ di tutto e non solo di videogame per poter sviluppare nuovi prodotti. Chiaro sintomo di come la mamma di Super Mario abbia ancora una visione oculata e lungimirante del mondo dei videogiochi e del modo di fare industria.
Se qualcuno si chiedesse come mai Nintendo in questi ultimi 20 anni abbia vissuto di alti e bassi, pur avendo una politica aziendale più confacente, il tutto é presto spiegato. E’ ovvio che l’azienda, campando solo sui videogiochi, avesse meno capacità di spendere denaro rispetto alla concorrenza, che si appoggia su televisori, altri strumenti hitech e computer per corroborare la propria causa.
Inoltre, come detto, c’é stata una certa rigidità di scelte nel tempo, da parte della casa giapponese di Zelda. Tutto ciò, nonostante la politica aziendale non malvagia, ha portato a un’altalena di risultati commerciali.Ma d’altra parte quando la concorrenza inonda il pubblico con la propria pubblicità rispetto a te, i risultati non possono che essere questi. Non vi pare strano infine, che una società che fa solo videogiochi é riuscita a sopravvivere e a raggiungere grandi risultati contro colossi multimediali con più risorse a disposizione come Sony e Microsoft?
Ci si lamenta dei costi di produzione troppo alti a causa del pubblico e di essere andati oltre tecnicamente per questo motivo senza più riuscire a guadagnare abbastanza, quindi, tornando a noi? Il pubblico dei Single AAA é sempre lo stesso ma i costi sono aumentati in maniera insostenibile? Che ci si assuma le proprie responsabilità, allora, perché questa situazione non l’ha creata il popolo dei videogame, sospeso solitamente in gran parte nella leggerezza di quello che é il suo media preferito. Un’utenza recante opinioni in gran parte trascurabili se non ben filtrate e interpr
etate da chi si occupa del settore. La gente si interessa poco e sbaglia nelle considerazioni in temi vitali come la politica, figuriamoci su un tema leggero come il videogame…
In ogni caso, noi di NBG avevamo anticipato abbastanza, un po’ di mesi fa le controversie legate a un fosco destino dei tripla A in linea generale, che a quanto pare ha già iniziato a farsi strada con i titoli single player e che sicuramente si espanderà presto a macchia d’olio se si continua così, costringendo molte aziende a chiudere i battenti.
Secondo voi le microtransazioni, le lootbox e i dlc a profusione anche e soprattutto nei giochi multiplayer non sono un chiaro segnale di come l’industria stia collassando anche nel settore multi in base a come questi giochi sono curati tecnicamente, senza nuove idee e alla luce di queste dichiarazioni? E’ chiaro che l’aumentare spropositato di tali mezzi per guadagnare subito sia il risultato di un videogame in multiplayer che non riesce a sostenere più i costi di produzione con la vendita del singolo gioco e poche e oculate aggiunte a pagamento.
Si può sbagliare, ad ogni modo, e tutti lo fanno nella loro dimensione umana, e le aziende ovviamente non sono immuni da tutto ciò inquanto fatte da persone. Quello che ci si augura é che queste multinazionali riescano a tornare sui propri passi per il bene del videogame, per rafforzarlo e per dargli nuova linfa nonostante le critiche. Critiche anche dure in questo articolo, ma é questo il lavoro del giornalista: non stare dalla parte di nessuno come un tifoso di calcio, ed esaminare solo quello che va bene e non, per informare il lettore e dare la speranza giusta verso un futuro migliore.
Stay tuned!