…e la mia arma lasciai cadere,
col mio volto tra i granelli del deserto;
erano tutti uguali e tute di guerra,
come una tempesta di sabbia…”
[Baldo Bruno – Guerra]
Avevo letto molto su Spec Ops: The Line ed avevo capito, forse inconsciamente, che con lui sarebbe nato un legame quasi personale. Io ho posato il joypad diverse volte e mi sono chiesto “Perchè lo sto giocando adesso?”. Perchè lo gioco colpevolmente tardi, lo scopro con mia imperdonabile leggerezza solo a Natale. Ma sono lento, ho bisogno di capire quando sia il momento di inserire un determinato gioco nella mia console. Altrimenti ho come la sensazione che non saprei godermelo. Ma Spec Ops: The Line mi ha fatto capire una cosa: che lui avrebbe atteso volentieri altri cento anni per farmi posare il joypad per terra. E farmi capire la banalità del male.
Non sarò il vostro salvatore..
Spec Ops: The Line inizia con una micidiale sequenza di una Dubai disastrata e colpita da una tempesta di sabbia. Il silenzio. La desolazione. La sfilata delle vanità umane interrotta da qualcosa cui nemmeno la regina del deserto può opporsi. Siamo tre soldati. Siamo esseri umani, persone, uomini che hanno dato loro stessi ad una causa. Bisogna forse premettere che la trama in sè ha un concept così semplice che potrebbe fuorviare i giudizi: andate in mezzo al disastro, salvate dei soldati rimasti bloccati lì durante un tentativo di evacuazione, tornate a casa. Fate il vostro dovere. Ma presto il gioco stesso ribalta tutte le normali convezioni che la trama presentava, e vi troverete ad affrontare il peggior nemico di questo mondo: i vostri incubi.
Mi fermo. Bisogna giocarlo per capire che quello che avverrà fino ai titoli di coda sarà il peggior tentativo di salvataggio della vostra vita, ma state tranquilli: saprà tenervi incollato allo schermo per tutte le otto, forse quasi nove ore di gioco che il titolo vi propone.
Non sono un eroe. E non lo sarò mai, se resto da solo.
Se il gioco può sembrare un TPS canonico alla “Corri e spara” sarà forse il suo saper essere maledettamente crudele e calcolatore quello che sorprenderà, soprattutto alle difficoltà più alte. Dormirà sopito sino alla difficoltà normale, per poi aggredirvi alla difficoltà difficile ed infine farvi letteralmente a pezzi al grado “Fubar” che, per chi non avesse conoscenza del termine, è un acronimo inglese che sta per Fucked up beyond all Repair. Se tradurrete il termine, capirete da soli che questo rappresenta il biglietto di benvenuto per l’inferno. Ma è qui che il gioco sfoggia eleganza nonchè meccaniche raffinate ed aggraziate: tra la possibilità di sfruttamento delle dinamiche ambientali come le tempeste di sabbia e la capacità tattica del vostro squadrone della morte, sarà la somma della vostra abilità, unite a precisione e furbizia nel ripararvi a dovere, a decretare se il giudizio severissimo del gioco penderà verso di voi in battaglia. E se in alcuni frangenti il terrore e lo sconforto dovessero prendere il sopravvento, allora capirete il meraviglioso messaggio che il gioco tra le righe vi manda: non c’è libertà senza sacrificio, non c’è salvezza senza coraggio, non c’è sopravvivenza senza eroismo. Sarete coinvolti in sparatorie a tratti estenuanti, tra mille difficoltà e sotto il fuoco nemico da ogni parte del livello. Ma sarà qui che, se vi dimostrerete abbastanza bravi, con l’aiuto dei due vostri compagni e della loro I.A. semplice e raffinata uscirete dal vostro possibile luogo di sepoltura tutti interi. Ma “tutti interi” è una frase fatta, “tutti interi” sarà un ricordo sempre più sbiadito ad ogni livello che passa.
Le scelte che trama e gioco vi mettono di fronte, a tratti innegabilmente crude, saranno un passo in più verso il fermarsi un attimo e prendere fiato e coscienza di quel che si sta facendo. Cosa che non potrà permettersi il vostro protagonista che, a poco a poco, si troverà di fronte contro un nemico più grande di lui; un nemico enorme, imbattibile e mostruoso: i propri incubi.

Alcuni scorci della Dubai sommersa di sabbia sono particolarmente d’impatto.
“Eri bella come la sabbia di primo mattino…“
Considerando che pochi di voi saranno stati a Dubai, forse le immagini della città disastrata e in rovina non faranno poi tanto effetto. Ma sul vostro schermo l’impatto è significativo: tra grattacieli piegati in due, strade completamente sommerse di sabbia ed interni forse un po’ scarni ma decisamente ben rifiniti, sarete rapiti dalla lussuosa desolazione post-cataclisma.
È qui che forse Spec Ops: The Line propone anche una novità significativa: non siamo di fronte al solito campanilismo Americano, non ci saranno New York da salvare come in Crysis o Terze guerre mondiali da sventare come nella serie Modern Warfare. Tutto è dipinto come è giusto che sia: spacciato, silenzioso, dove la vita umana si è imbarbarita e dove il nemico stesso non è un esercito ben organizzato, una ricca agenzia di mercenari, alieni nè quant’altro l’industria dei Colossal “Corri e spara” ci ha abituato. Qui i principali nemici sono uomini, soldati stremati per l’umana lotta alla sopravvivenza, ben lungi dal voler sembrare il cattivo di turno. Sono come voi, uomini persi in una città distrutta e colpiti in un caldo lacerante. E i pochi personaggi di contorno, per quanto al più vogliano farvi fuori o semplicemente usarvi come braccio armato, saranno conditi da un velo di empatia che renderà ancora più traumatico il corso della vostra avventura. E sarà lecito chiedersi se sia stata una buona idea lasciarvi catturare da una possibile simpatia per loro. Per una volta segnaliamo con orgoglio che la localizzazione italiana è riuscita a sfornare una prestazione più che eccelsa che vi farà godere appieno il vostro giro turistico nella banalità delle malvagità umane.
“Io fui grato a chi venne da lontano, e salvò quel che restava di me…”
Capirete solo alla fine del gioco la frase di cui sopra. Ma quel che vi resterà è la sensazione di aver gustato un prodotto fuori dagli schemi. Ma forse è proprio il voler dare uno schiaffo così forte al suo genere di appartenenza ad aver fatto di Spec Ops: The Line un prodotto fatto per pochi giocatori scelti, per quelli che hanno voglia di porsi domande e di dire a se stessi “Però… ho bisogno di una pausa”. E alla fine delle vostre otto ore di gioco, a cui si aggiunge la possibilità di lavorare in squadra online (sia in modalità cooperativa nella storia che competitiva nelle canoniche modalità di genere), sarete contenti di aver dato una possibilità a Spec Ops: The Line, contenti di esservi lasciati trascinare all’apice della disperazione delle sue numerose battaglie impossibili. Contenti di aver capito l’assurda e orrenda semplicità della crudeltà umana che va a braccetto con le incredibili debolezze della psiche. Perchè non siamo eroi, non lo saremo mai, e non riusciremmo mai a salvarci da esse.