Sword of the Vagrant approda nel mondo delle console dopo essere disponibile già da qualche tempo per PC con il semplice nome di “The Vagrant”. Per questo motivo abbiamo deciso di proporre la recensione di questa interessante produzione a metà tra un Metroidvania ed uno Slash’em up, condito da tanti, tanti elementi Action RPG.
La genesi del progetto di Sword of the Vagrant, produzione indie degli studi O.T.K Games, DICO Co. Ltd ed edito da Rainy Frog, risale per l’appunto a qualche anno fa. Si sono presi il giusto tempo per portare a pieno compimento il loro progetto e ciò, anche solo in linea di principio, non è che un bene. Questo titolo non fa eccezione e gli sforzi profusi per portarlo alla luce hanno sicuramente dato i suoi frutti.
Note: versione valutata Nintendo Switch (modalità docking e mobile).
C’era una volta
Iniziamo dalla storia. L’Incipit è abbastanza consueto per le avventure di questo tipo. Impersoneremo Vivian, una giovane “Runewarden” (guardiana delle Rune), esperta nell’uso della spada e da un passato familiare a dir poco tormentato. Far luce sull’oscura dipartita del padre, oltre che della sorella maggiore, sarà il primo degli obbiettivi che la giovane guerriera metterà in agenda all’inizio della sua avventura. Come spesso avviene, innumerevoli saranno i personaggi con cui entrerà in contatto e con i quali tesserà legami di amicizia o di ostilità.
Pur restando su cliché abbastanza standard va detto che gli accadimenti sono assolutamente interessanti e ben descritti. Forse alcuni dialoghi, tutti testuali, precisiamolo, risultano leggermente pesanti, indisponendo i giocatori più inclini alla parte action. Ci sentiamo comunque di affermare senza paura che il tutto risulta ben bilanciato. Purtroppo, è assente la regionalizzazione in lingua italiana. Un handicap visto che i dialoghi stessi contengono sovente termini specifici, facilmente sconosciuti a chi non padroneggia l’inglese o ha un’ottima familiarità con il mondo degli RPG di stampo medievaleggiante.
Non vi vogliamo rilevare alcun particolare della storia, ma possiamo riportarvi che il gioco consta di due finali principali. Il primo, quello standard, “limitato”. Il secondo, “arricchito” ed in parte più lieto, sarà disponibile solo effettuando delle sfide secondarie, grossomodo recuperabili e completabili anche nelle fasi di gioco avanzate, dunque senza particolari vincoli sequenziali (per capirci, i temibilissimi quanto odiati “missable”).
Sembra un quadro
A far da elemento tanto estetico quanto portante della Storia vi è una realizzazione tecnico-artistica di indubbio spessore. Tutta la parte grafica si ispira ai titoli bidimensionali della generazione a 16 bit, con fondali disegnati in chiave moderna e realizzati interamente a mano; un ragguardevole stuolo di nemici, anch’essi concepiti partendo dalla punta di una matita. L’uso dei colori e lo stile grafico risultano profondamente ispirati ai titoli di Vanillaware.
Per chi non lo ricordasse, parliamo dello studio giapponese, affiliato Atlus, famoso proprio per le sue produzioni 2D quali Odin Sphere Leifthrasir, Muramasa e Dragon’s Crown. Tutti titoli che, oltre alla tipologia di realizzazione tecnico artistica, condividono con Sword of the Vagrant anche lo spirito Action RPG ed una ambientazione, più o meno, Fantasy.
Torneremo più avanti sul level design. Rimanendo invece sul lato più propriamente artistico, desideriamo sottolineare come le locazioni siano tutte molto variegate; tutte infinitamente curate ed estremamente evocative. Dal tipico villaggio di stampo medioevale, ad intricatissime foreste a passaggi d’alta montagna più o meno innevati. Passando per castelli in stato d’abbandono e cimiteri con catacombe e grotte sotterranee.
Proseguendo, non mancheranno neppure templi d’ispirazione precolombiana: locazioni che dunque farebbero persino invidia a Lara Croft o Nathan Drake. Infine, nell’ultima parte del gioco, le atmosfere prendono una piega ancor più onirica e cupa. Livelli dove avremo per sfondo svariate mostruosità mutanti, con il pensiero correrà inevitabilmente al manga di Berserk, opera magistrale del mai abbastanza compianto Kentaro Miura.
Il ritmo dell’avventura
A tanta cura per la parte grafica fa da degno contraltare il comparto sonoro. Una nota di merito sia per le colonne sonore sia per gli effetti. Le prime ricalcano perfettamente l’ambiente in cui di volta in volta ci troviamo: epiche, lugubri o incalzanti. Tutte sono di ottimo livello e posseggono una notevole varietà di stili, spaziando dalla musica classica, al rock e persino a quella elettronica. Come detto anche gli effetti sonori sono sempre al posto giusto: con i colpi di spada, urla, lamenti e strepitii vi accompagneranno in tutte le vostre avventure.
Spiriti, fantasmi e creature infernali alla loro uccisione emetteranno rumori agghiaccianti; fiere e animali selvatici grugniti e latrati, mentre per gli avversari umani saranno le urla a farla da padrone. In tutto questo la varietà dei nemici è notevolissima e scorrere il “bestiario” vi farà render conto del numero, anche da un punto di vista meramente quantitativo, delle minacce che dovremo affrontare. I boss sono numerosi, tosti, ciascuno con il suo peculiare stile ed ottimamente caratterizzati. Non vogliamo togliervi il gusto della sorpresa, ma alcuni hanno una resa animata persino migliore di quella della protagonista.
L’arte di saper combattere
Proprio le animazioni di Vivian costituiscono uno dei, pochi, punti deboli del gioco. Intendiamoci: le azioni che può compiere tra semplici mosse e tecniche speciali sono di buonissimo livello, ma qualche sprite in più non avrebbe guastato. Tutto ciò si traduce, o meglio, si aggiunge, ad un comportamento nei controlli della protagonista abbastanza legnoso. Le cose migliorano con l’acquisizione del “doppio salto” e dopo averci fatto l’abitudine, ma è sicuro che Vivian non brilli per agilità.
Non è un grave peccato e può essere una stata scelta in parte deliberata. In passato molti metroidvania hanno avuto come protagonisti dei personaggi che non erano il massimo della reattività, tuttavia, le attuali produzioni (Ori e Hollow Knight su tutti) prediligono uno stile di gioco con movenze più simili ad un platform che ad un Castlevania o un Metroid di vecchia data.
Restando in tema di difettucci dobbiamo rimarcare come il gioco parta molto, forse troppo lentamente. L’inizio della nostra avventura sarà nei pressi di un villaggio, praticamente privo di pericoli. Anche nelle immediate vicinanze di esso, le uniche, si fa per dire, minacce, saranno rappresentate da qualche animale selvatico e poco altro. Pure in questo caso può essere stata una scelta consapevole, per far abituare il giocatore a movenze, tecniche e menù tipiche degli RPG. I più smanettoni potrebbero tuttavia venirne a noia, con il rischio di abbandonare il titolo prematuramente.
Action & RPG in parti (quasi) uguali
Abbiamo appena accennato alla componente ruolistica e, come ogni gioco action RPG, la gestione delle armi, oggetti e abilità assume una centralità di primo piano. Sword of the Vagrant non fa eccezione e sotto questo aspetto mette molta carne al fuoco.
Da un lato la fruibilità e la chiarezza dei menù è molto ben studiata, dall’altra, attraverso qualche piccola ingenuità, espone il fianco a qualche trucchetto nel gameplay. Intendiamoci: il gioco rimane comunque abbastanza impegnativo, anche in virtù del fatto che è decisamente lungo, ma alcune sfide possono essere superate abbastanza a cuor leggero avendo l’accortezza di far preventivamente buona scorta d’energia (pozioni vita).
Questo di fatto limita le potenzialità del gioco stesso, dal momento che il player può fare a meno d’esplorare e sfruttare numerose feature interessanti che invece il gioco mette a disposizione. Lo stesso studio dei boss ne viene penalizzato, dato che in molti casi, lo ripetiamo, una adeguata riserva di pozioni vale tanto quanto un approfondito studio delle tattiche da adottare.
Di contro, e questo può essere un pregio, Vivian non ha, come in molti giochi di questo genere, un punteggio di Level Up. Da questo punto di vista non sarà quindi particolarmente utile fare e rifare certe ambientazioni per salire di livello. Come fare tuttavia per potenziare il nostro personaggio? Come suggerisce l’appellativo della nostra Vivian, Runewarden, la nostra paladina è sì un’esperta di spade ma anche una profonda conoscitrice delle Rune.
Ci stiamo riferendo non tanto alle lettere dell’alfabeto delle antiche popolazioni nordeuropee, quanto alle pietre sulle quali queste sono tipicamente incise. Attraverso questi oggetti, opportunamente incastonati, si potranno potenziare le nostre armi ed armature. Entrambe le tipologie possono arrivare ad ospitare fino a quattro rune, di diversa tipologia e livello, ciascuna con le sue peculiarità e parametri modificatori.
Armi, armature (ad eccezione di una), pozioni e ricette saranno anche acquistabili presso vari personaggi secondari del gioco in cambio di un costo espresso in una delle due valute del gioco: stiamo parlando del Gold. Con l’altra, il Mana, sarà invece possibile potenziare il proprio equipaggiamento o sbloccare abilità e benefit nell’albero dei perk. In ultimo, ma non meno importati, il recupero di determinati ed unici artefatti consentirà di sbloccare delle “mosse speciali” o specifiche ramificazioni del suddetto albero dei potenziamenti.
Qua e là
Tutti i menù risultano ben congeniati e sufficientemente intuitivi, anche per chi non ha una stretta confidenza con giochi di questo tipo. Sempre parlando delle schermate di supporto, anche la mappa è semplice ma decisamente immediata nel suo sguardo d’insieme. La sua struttura non è infatti propriamente tipica di un Metroidvania, ma riprende, anche in questo caso, un titolo di Vanillaware: stiamo parlando di Muramasa (gioco per Nintendo Wii rieditato anche per PlayStation Vita con il titolo di Muramasa Rebirth).
Ogni ambiente è una sorta di “camera” che su mappa corrisponde ad un rettangolo, di diversa dimensione e proporzione a seconda dei casi. Una linea tra due rettangoli rappresenta un collegamento diretto tra di essi. Vi sono naturalmente passaggi segreti ed aree nascoste, che, manco a dirlo, spesso racchiudono i segreti più interessanti.
Un limite all’efficacia della mappa sono le indicazioni piuttosto scarne che reca. In pratica vi saranno solo quattro riferimenti. Un segnalino rosso indica la vostra attuale posizione (generica, all’interno del singolo rettangolo). In viola i boss GIA’ affrontati, in giallo, eventualmente anche fuori reticolo, la vostra attuale meta. Infine, in verde, i punti di salvataggio già individuati e raggiunti.
Indistinguibili tra loro in quanto rappresentati dalla medesima icona, ve ne sono comunque di due distinti. In quelli con una stele sarà possibile salvare ma verrà anche resa disponibile la classica funzione di teletrasporto/viaggio veloce. In quelli con il falò da accampamento sarà invece possibile cucinare piatti per rifocillarsi, a patto di conoscere delle ricette ed avere gli ingredienti necessari per realizzarle.
Mosse e contromosse
Riserviamo questa ultima parte di analisi tornando sull’aspetto forse più delicato ed importante di questo genere di giochi, ossia i controlli ed il combat system in generale. Abbiamo già espresso come il comportamento in battaglia di Vivian non sia dei più agili, ma occorre dire che la distribuzione dei tasti è comunque molto ben strutturata. Semplice ma efficace e flessibile al tempo stesso.
Con i quattro tasti avremo a disposizione l’attacco leggero, quello pesante, il salto e una delle quattro mosse speciali a nostra scelta che avremo configurato. Le rimanenti tre sono utilizzabili sempre con il medesimo tasto accompagnato, a seconda dei casi, dalla direzione su, avanti o giù. I tasti frontali sono riservati alla scelta della pozione attiva, all’uso della pozione ed alla imprescindibile azione di schivata/scatto.
Complessivamente l’intero gioco consterà di sei mappe, ciascuna caratterizzata da un ambiente specifico. Al netto degli innumerevoli segreti, bivi e zone opzionali, la storia vi terrà occupati a difficoltà Normal (la più bassa) per non meno di una ventina di ore. Una longevità di tutto rispetto, tenendo conto che una volta conclusa la storia sarà immediatamente possibile iniziare una nuova avventura conservando tutti gli oggetti ed i potenziamenti acquisiti tramite la consolidata opzione del “New Game +”.
Conclusioni
In conclusione, un titolo interessantissimo che rivela in molti dei suoi aspetti concettuali e realizzativi una cura ed una passione per il genere decisamente elevati. Alcuni elementi avrebbero indubbiamente potuto essere ancor più rifiniti, ma questo non intacca né la bontà del prodotto né il divertimento che riesce a garantire. È bene ricordare in tale ambito una delle regole auree nel valutare un videogame: cioè giudicare semplicemente per ciò che si ha effettivamente tra le mani. Non per quello che avrebbe potuto, o dovuto, essere.
Un titolo che dunque ci sentiamo di consigliare vivamente a tutti gli amanti del genere, anche in virtù di un prezzo proposto davvero competitivo. Non ci stupiremmo poi se tra qualche anno Sword of the Vagrant dovesse diventare nel suo piccolo un titolo cult. Brava Vivian e complimenti agli ideatori della sua avventura.
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