Già recensito da noi l’anno scorso, The Wanderer: Frankenstein’s Creature è stato rilasciato per Switch soltanto pochi giorni fa dal publisher ARTE. Ho avuto la fortuna di provare proprio quest’ultima versione, vivendo un’esperienza intensa e commovente, ma soprattutto davvero molto triste e umana. L’interpretazione videoludica del noto romanzo di Mary Shelley si presenta come un’avventura narrativa dalla forte componente psicologica, che coinvolge il giocatore nella tragedia vissuta dal protagonista, una creatura deforme e ripudiata da un mondo e da un’epoca nella quale dominano ignoranza e pregiudizi.
Come già detto, quella recensita qui è la versione Switch del gioco, ed è completamente in Italiano. Trattandosi di un’avventura narrativa sarà quindi facilmente comprensibile da chiunque, permettendo di apprezzarne le sfumature e soprattutto di cercare di compiere le scelte migliori ogni volta che si presenteranno. Inoltre, essendo questa recensione scritta da un autore diverso della precedente, potrete confrontare due pareri diversi sul gioco.
La via della redenzione
Rappresentato con corpo e volto completamente oscurati ed avvolto in un lungo mantello bianco, il protagonista è una creatura esteticamente mostruosa e molto più alta di qualsiasi essere umano, frutto di terribili esperimenti del dottor Victor Frankenstein. Questo essere vive una vera e propria tragedia interiore che lo accompagna per tutta l’avventura: la ricerca della famiglia, dell’amicizia, dell’amore e del divertimento, che hanno in comune il suo unico desiderio di essere accettato per quel che è, di vincere la solitudine che lo accompagna e di non restare più solo. Ma presto dovrà purtroppo scontrarsi con i forti pregiudizi radicati nelle persone che incontra, figli della paura e dell’ignoranza che regnano tra la popolazione.
Il gioco ci porta a girovagare per enormi ed affascinanti distese di verde e fiori, colline, montagne innevate, paesini in festa, caverne, luoghi sacri ed altre location. Ciascuna di queste non è stata creata per caso, ma nasconde una profonda morale da insegnare non solo al protagonista, ma anche a noi stessi. Capiamo fin da subito di esserci imbattuti in un eroe triste e solitario, ma al tempo stesso buono ed altruista. Viviamo con lui alcuni eventi brevi ma intensi come il salvare un cervo dalla minaccia di un serpente velenoso, giocare a palla con alcuni bambini ed osservare le vicissitudini di una famiglia in difficoltà per l’arrivo dell’inverno. In questi frangenti, spesso il gioco ci pone di fronte alla scelta di aiutare chi ne ha bisogno, influenzando l’evolversi della storia nonchè colori e suoni in quella specifica situazione. Sebbene alcune di queste scelte possano sembrarci facili, come tagliare la legna in condizioni di freddo estremo o suonare un organo per far danzare la popolazione in festa, altre saranno davvero difficili e ci costringeranno a fare scelte drastiche, ad esempio per salvare il protagonista da un pericolo imminente o per cercare disperatamente un modo per convincere qualcuno a fidarsi di noi, andando oltre le nostre mostruose apparenze nel tentativo di mostrare i sentimenti più che umani che la creatura porta nel cuore.
Durante il viaggio della creatura, i momenti di vero gameplay risiedono nel dover affrontare alcuni puzzle, spesso semplici da risolvere, talvolta suddivisi in sottopuzzle più piccoli per facilitarci la ricerca di eventuali oggetti o indizi utili a risolverli. Ci troveremo ad esempio di fronte ad una porta blindata, apribile solo inserendo due nomi propri correlati tra loro, da dedurre in base ad alcune porzioni di romanzi lette in quella stessa stanza.
Impariamo dai nostri errori
Verso l’inizio del gioco, una di queste scelte segnerà per sempre il percorso interiore della creatura ed il giudizio che gli altri avranno nei suoi confronti, facendo involontariamente del male a qualcuno nel tentativo di difendersi da un’aggressione dettata dall’ignoranza della gente. In questo ed altri casi, la fuga sarà la nostra unica arma a disposizione, mentre le lacrime scorreranno nel cuore del protagonista per l’enorme senso di colpa che lo accompagnerà per il resto della sua avventura. Più avanti avrà però modo di redimersi, evitando di cadere nello stesso errore quando si ripresenteranno situazioni simili, compiendo stavolta la scelta giusta per non far del male a nessuno e preferendo così di autocondannarsi alla solitudine, al fatto che non sarà mai accettato da nessuno a causa della paura suscitata negli altri dal suo aspetto mostruoso. Oltre all’evitare di fare gli stessi errori, la creatura troverà la redenzione visitando alcuni luoghi sacri nei quali, dopo aver compiuto alcune semplici azioni come il ricomporre una tomba o suonare un organo – tramite la giusta sequenza di tasti, indicati e colorati per semplificarci il compito – otterrà una ricompensa spirituale che lo aiuterà a superare i momenti di difficoltà vissuti interiormente.
Alcuni dialoghi sono stati pensati dai programmatori per darci diverse risposte alla domanda di un NPC, nonchè diverse possibili scelte quando siamo da soli. Tali scelte influenzano l’evolversi della trama e il destino stesso del protagonista, che potrebbe essere atteso da un destino più o meno felice a seconda non solo della fortuna di indovinare ogni qualvolta le scelte migliori, ma anche del desiderio del giocatore di voler avere pietà del protagonista creandogli un finale più felice rispetto all’oblio che potrebbe attenderlo al varco. Alcune di queste scelte si presenteranno anche verso la fine dell’avventura grazie all’incontro con un personaggio realmente esistito, che chiarirà i dubbi del protagonista sulla sua natura e gli offrirà una chance di scegliere il suo destino.
Ci attende l’oblio?
I paesaggi di The Wanderer: Frankenstein’s Creature toccano un livello artistico decisamente alto, con una palette colori tipicamente ad acquerelli e scelte di fotografia che ci permettono non solo di ammirare i bellissimi paesaggi quasi come se fossero quadri, ma che inquadrano bene la situazione e lo stato d’animo della creatura durante i suoi lunghi viaggi alla ricerca della felicità e della verità sulla sua esistenza, cosa ancor più evidente quando esprime i suoi pensieri in quanto narratore della sua stessa epopea. La colonna sonora, nonchè la colorazione di alcune porzioni della location in cui ci troviamo, aumentano o diminuiscono d’intensità a seconda della situazione e dello stato d’animo del protagonista.
In alcuni frangenti, però, il fascino dell’esplorazione è purtroppo rovinato dai comandi di gioco che diventano improvvisamente ostici, dirigendo il protagonista in una direzione diversa o opposta alla quale premiamo lo stick oppure non compiendo l’azione appena confermata premendo il pulsante indicato sullo schermo, ad esempio per raccogliere un oggetto o aprire la tenda di una finestra. In più occasioni, soprattutto in prossimità di oggetti e strette location al chiuso, abbiamo tardato diversi minuti per riuscire a dirigere il personaggio verso l’uscita, poichè questi andava in alto nonostante gli dicessimo di andare verso il basso, o viceversa.
Situazione eclatante soprattutto in una delle ultimissime scene del gioco – vivibile scegliendo un certo destino per la creatura – durante la quale abbiamo tentato decine di volte di camminare verso la parte alta dello scenario ma senza successo, col protagonista che sembrava seguire sempre la stessa rotta verso il basso, per poi bloccarsi e non camminare più indipendentemente dalla direzione che provassimo ad impartirgli. In quest’ultimo caso si tratta probabilmente di un piccolo e fastidioso bug, che ci ha impedito di completare il gioco con quel preciso finale.
Alcuni dialoghi presentano una struttura alquanto semplice, con due sole possibili risposte alla domanda di un personaggio, talvolta ben diverse tra di loro che permettono facilmente una scelta positiva nei confronti della creatura. In altre occasioni, invece, nonostante si possa arrivare anche a 5-6 scelte possibili, tutto sembra condurci per forza di cose ad una sola via possibile, spesso completamente negativa e distruttiva, che porterà la creatura a farsi odiare anche da quelle che sembravano essere persone disponibili ad andare oltre l’apparenza poichè apparentemente prive di pregiudizi o convinte che il volto mostruoso fosse una semplice maschera.
Solo per sempre
The Wanderer: Frankenstein’s Creature è un prodotto molto valido, un’avventura solitaria ma affascinante grazie ad un impatto visivo e sonoro di tutto rispetto. Ma ciò che ne attesta il fascino è la narrazione, che coinvolge fortemente il giocatore e lo immedesima nello stato d’animo del protagonista: buono, sensibile, altruista e bisognoso d’affetto, ma perennemente ripudiato e forse condannato a vivere e morire da solo. La costante ricerca di affetti, che lo porterà anche a cercare il suo stesso creatore, ci farà vivere un’esperienza intensa ma anche rigiocabile, grazie ai finali multipli. Il destino che sceglieremo per la creatura sarà dettato da alcune scelte fatte, compresa la possibilità di mentire per tenerci buono qualcuno oppure liberarci da un peso dicendo la verità a chi sembra di meritarla, col rischio di essere però giudicati e nuovamente esiliati nonostante credessimo di aver trovato qualcuno che sapesse guardare in fondo al nostro cuore.
Un viaggio nell’umanità di un mostruoso e deforme protagonista, che piacerà molto a chi ha apprezzato titoli come Journey o Gris. E se già questi due erano dotati di poca azione e tanta narrazione, in The Wanderer la bilancia pende esclusivamente sulla seconda scelta, azzerando del tutto la componente action. Abbiamo quindi tra le mani un romanzo visuale a scelte multiple, che annoierebbe presto chi cerca l’azione ma che affascinerà gli amanti dell’esplorazione pura e poetica, oltre a chi ha letto ed apprezzato il romanzo di Mary Shelley.