Il giornalismo ha la prerogativa di raccontare i fatti e di ragionarci su, di essere libero da condizionamenti e ingerenze per poter fornire il miglior prodotto informativo possibile alla gente e di essere costante nella sua linea di persecuzione dei buoni propositi. Questo é quello che facciamo su NBG ed é anche quello che ci auguriamo sposino anche altre testate, riflettendoci su.
Citare per questo pezzo praticamente Gloria Gaynor sembra quasi parodistico per la voce patinata della cantante e per gli intenti a volte comici con cui é stata usata la canzone “I will survive” ma effettivamente un po’ ridere fa. E questo forse non fa male per trattare un argomento serio a livello contenutistico che però, probabilmente, a causa dei dissensi provenuti da più parti, per non appesantire ancora di più il dibattito, merita almeno un piccolo alleggerimento formale per essere recepito meglio su queste pagine.
Tra il faceto, il riferimento al gioco in oggetto e il serio del testo del singolo che si collega al tema trattato per trovare la consapevolezza di aver abbandonato qualcuno (nel caso la passività legata a certe manovre videoludiche) ma che con nuova forza si sopravvivrà, la redazione di NBG quindi sarà quella cara persona che ci tiene alla vostra salute.
Quella persona che vi verrà incontro mentre litigate e cercherà di portarvi via da quella situazione spiacevole, da quel rapporto logoro senza possibilità di recupero. Andremo via insieme, insomma.
Il caso Metal gear survive, per quanto mi riguarda, in accordo con i vertici della redazione, non merita nessuna recensione ma solo un grande ammonimento per quello che lo ha preceduto ed é attualmente in corso: un grosso errore.
Esistono prove a carico e indizi rilevanti per prendere le distanze da certe operazioni per quanto ci riguarda, nonostante Konami abbia cercato di far rimanere tutto occultato sui presunti ma molto probabili dissapori con Hideo Kojima, e lo stesso game designer si sia allineato (“sono grato a Konami”)alla sua stessa ex società nel tempo, senza però risparmiare piccole stoccate (“Metal gear é fantapolitica, non zombie”).
Il futuro ha bisogno del passato
Ma partiamo dal principio, che pur risultando didascalico per quanto inchiostro digitale gli si é speso appresso, ha bisogno di una spolverata, magari per chi sente l’esigenza di inquadrare nuovamente le vicende per farsi un’idea.
Tutto ha avuto inizio in tempi non sospetti, nel 2009, quando venne messo in cantiere Metal gear rising, seguito action pianificato per accodarsi al trend del momento ma sempre con qualità, della saga di Metal gear. Il gioco nel tempo, prima dell’uscita sui mercati, subì varie tribolazioni. Il lavoro sul gioco, eseguito in principio da Kojima Producitions, procedeva lentamente nel tempo e addirittura lo stesso sviluppatore aveva deciso a un certo punto di cancellare il progetto,a quanto pare.
Una situazione simile era comunque spiegabile dal fatto che lo stesso studio, divisione interna di Konami, era a lavoro in quel periodo su moltissime e dispendiose operarzioni a livello di energie psicofisiche, come il reboot di Castlevania (Lords of Shadow), il nuovo motore proprietario Fox Engine, il capitolo per PSP di Metal Gear, Peace Walker e presumibilmente a ragion veduta, vista la mole incredibile di contenuto del gioco finale, su Metal gear solid V.
Già constatando questo affastellamento alquanto voluminoso di lavoro, e considerando che alla fine il progetto Rising passò sotto l’egida degli esperti Platinum Games, con risvolti negativi in termini di durata del gioco relativamente ai tempi e diverso approccio nella narrativa alla serie (più superficiale), si poteva cominciare ad avvertire qualche piccolo scricchiolio societario, che però non dava adito, visto il passato della compagnia, a nulla di veramente serio.
Situazione che venne rinsaldata con la colla con l’uscita di giochi di primo ordine o quasi come gli stessi Peace Walker e Lords of Shadow nel mentre.
Se mesi prima dell’uscita di MGSV: Ground Zeroes cominciarono a susseguirsi particolari dichiarazioni sul fatto che il titolo sarebbe stato diviso in due parti per preparare l’utenza alla rivoluzione contenutistica in termini di gameplay che Hideo Kojima aveva preparato per la sua saga più rappresentativa. Lo stesso Kojima aveva confermato tutto ciò, ed effettivamente la cosa poteva essere giustificata dalla mutevolezza dell’autore che ha sempre utilizzato approcci diversi per coinvolgere il pubblico nelle proprie pubblicazioni ma sempre seguendo una certa linea di alto livello qualitativo.
Si poteva stare quindi ancora relativamente tranquilli, Kojima non avrebbe tradito con molta probabilità in un capitolo canonico della serie e la società giapponese di Snake aveva bisogno del suo supporto, dato che non navigava in buone acque finanziarie e il designer rappresentava praticamente la sua stella cometa sia in termini di qualità che di incassi. Non c’era altro che aspettare quindi che arrivasse marzo per gustarsi la prima parte della nuova avventura di Snake. E così fu, senza praticamente grandi scossoni se non le classiche discussioni basate sulla mutevolezza e prospettive future del mercato odierno.
Arrivati a marzo del 2014, e all’uscita sui mercati di Ground Zeroes, però qualcosa cominciò a non tornare a parte dell’utenza. Il titolo, antipasto della durata di non più di un’ora nella trama principale e venduto a prezzi davvero spropositati (una trentina di euro sul suolo europeo) sollevò dei sospetti e malumori legittimi. Nel particolare infatti il titolo non era nient’altro, nello schema di base, che il classico prologo già trovato in MGS2 e MGS3 ma venduto separatamente e a prezzi, come detto, proibitivi.
Intanto però tutto questo é stato temporaneamente tamponato distogliendo l’attenzione del pubblico da Ground Zeroes, che é stata indirizzata nel mese di Agosto dello stesso anno sul nuovo Silent Hills, che debuttò poco dopo con un trailer giocabile (P.T) i esclusiva per le console Sony. Inoltre al timone del progetto, per garantire la qualità al pubblico con certezza, c’era lo stesso Kojima, affiancato per l’occasione dal maestro Guillermo Del Toro, specialista in atmosfere gotiche e mostri.
La situazione quindi sembrò cambiare un po’, in un andamento societario che stava cominciando a prendere un moto ondivago, anche perché l’esperienza in prima persona con P.T. si dimostrò realmente terrorizzante a rimarcare il fatto che forse l’azienda stava solo cercando di incassare di più con il brand Metal gear, coadivato anche dal progetto molto legato al gradimento popolare nel genere d’appartenenza (l’action) del già citato Metal gear rising dell’anno prima.
La bomba però esplose nel Marzo 2015. Qualche mese prima dell’uscita sui mercati della seconda parte di MGSV: The phantom pain. si cominciarono a rincorrere voci insistenti su una rottura tra Hideo Kojima e i vertici di Konami.
Nei mesi successivi queste voci furono irrobustite dalla cancellazione nel mese di Aprile del progetto Silent Hills, con ulteriore conferma di Guillermo Del Toro, e la rimozione di ogni riferimento a Kojima Productions e al suo creatore dalle copertine del nuovo Metal gear. Si parlava di 80 milioni di dollari già spesi per il progetto V, e probabilmente una compagnia praticamente sul lastrico non c’é voluta più stare alle richieste del suo dipendente di punta che comunque nel tempo, c’é da dirlo, aveva mostrato una certa propensione a fare sempre tutto in grande.
Arrivati a settembre, e quindi all’uscita di The phantom pain, fu chiaro a tutti come il gioco fosse praticamente mutilato e di come quindi ci sia stato, in maniera praticamente accertata, un brusco stop dei rapporti tra Konami, Kojima e il suo staff. Avvallata anche dalla maldestra introduzione di un filmato esplicativo di un possibile terzo capitolo del gioco che quantomeno sarebbe riuscito a mettere una bella pezza alla narrativa incompleta. L’ondata massiccia di critica del pubblico é stata cercata di arginare dalla stampa, ma il danno era stato davvero fatto e tutti ormai erano consapevoli del fatto che qualcosa di grosso, era successo all’interno di Konami, nonostante dall’interno, come da buona tradizione giapponese, non volasse una mosca in veste di dichiarazione ufficiale sul caso.
A una spesa quantificata come monstre per il gioco e la voglia di fare tutto in grande stile di Kojima, si é andata ad unire una politica dirigenziale cambiata, tramite i nuovi profili di certi manager, di una società che non se la passava per niente bene. Il piatto é servito, quindi, per una litigata molto credibile.
In ogni caso, su Kojima c’é da capire il personaggio, di cui abbiamo avuto molte informazioni nel corso della sua carriera. Un tipo altruista, pacifico e diplomatico che si fida delle direttive degli altri, che ci tiene alla qualità, come dimostrano i suoi stessi videogame e le eventuali variazioni sul tema degli stessi indicate dal malcontento del pubblico, come per la camera libera di MGS3 subsistance o le missioni aggiuntive con Snake in MGS2. Magari quindi a Kojima era stato dato il via libera senza problemi e lui si é fidato dei fondi messi a disposizione dalla società seppur in difficoltà, avendo un forte disappunto quando con il cambio dei vertici i rubinetti gli sono stati chiusi.
Arrivò quindi il mese di dicembre, Kojima si separò da Konami ma rimase qualche mese libero prima di firmare un contrattino con Sony. La sua faccia però, durante il video di presentazione del nuovo accordo stipulato con la casa giapponese diceva realmente tutto sul forte stress che aveva dovuto affrontare a causa della questione MGSV. Abbiamo quindi una persona diplomatica e mite, che ha sempre cercato di perseguire la qualità nei suoi lavori, che ha subito il colpo emotivamente. Altra carne al fuoco, insomma, per tutti i suoi tantissimi fan e per tutti gli utenti dell’industria stessa. Un’ altra prova per poter puntare il dito contro Konami senza rimorsi.
Da quei mesi quindi si seguirono delle notizie assolutamente poco salutari per tutta l’industria come il puntare forte da parte di Konami nello sfruttamento del gioco d’azzardo, configurabile in vari pachinko in lavorazione. Macchine, slot machine, che tra l’altro si appoggiavano sui marchi storici della saga, tra cui Metal gear.
Da li a poco fu quindi annunciato il progetto Survive, che nel suo impianto di idee riciclate per fornire un survival standard, dava l’idea che non ci fosse alcun lavoro dietro da parte del produttore e prosciugava tutta la qualità tipica dei giochi della serie Metal gear da fornire all’acquirente, accontentando solo il pubblico corrente per farsi acquistare.
L’innovazione, il messaggio, la cura per la prospettiva futura insomma non aveva più importanza: bastava vendere. Così come basta accumulare monetine per delle slot machine, insomma.
Noi no
Vi renderete conto che una rivista seria debba promuovere il lavoro, non quello che sembra per grandissima parte tale ma in realtà non é. Il lavoro serve a tutti per poter prosperare, non per avere solo un beneficio personale, quando si vive in comunità. E’ così che gli uomini si sono evoluti, é così che dovrebbe continuare ad andare.
Un ulteriore spunto legato alla conferma di un’operazione in proprio finalizzata verso obiettivi discutibili é legato alla gestione degli slot di salvataggio presenti in Survive. Ogni slot che va oltre il primo deve essere pagato una decina di euro. Perché una cosa del genere é errata? Semplicemente perché si leva al giocatore la propria libertà privata su un elemento importante del gaming, similmente al progetto Xbox One con il prestito dei giochi, al lancio della console nel 2013.
Chi acquista Survive in versione fisica ha di fatto privatizzato il suo utilizzo.Un utilizzo privato che viene amplificato dal fatto che la memoria interna della propria console, anch’essa privata, é perfettamente capace di gestire innumerevoli salvataggi. Innumerevoli salvataggi che sono quindi legittimamente di chi ha acquistato console e gioco.
Non si tratta del periodo della prima Playstation dove la scusa del limite tecnologico dei supporti ottici e degli hardware in se derogava con logica alle memory card per avere accesso agli slot di salvataggio. Metodologia che andava a sostituire le più approssimative password (c’erano anche i sistemi di salvataggio integrati su cartuccia. Si trattava però di rare eventualità), offrendo un sistema puntuale e preciso (con salvataggio anche dei punteggi), che dava anche accesso alla pirateria tanto sfruttata in passato.
Sottolineo in questo caso che la pirateria non é una soluzione perché non rispetta il lavoro degli sviluppatori, ma sicuramente è stato un incentivo per l’utenza di una certa rilevanza Una rilevanza atta a minimizzare altre questioni legate a certe mancanze tecnologiche che si sono verificate dall’epoca a 32 fino a quella a 128 bit.. Non c’é nessuna scusa che tenga, insomma, ad oggi, per giustificare una mossa simile da parte di Konami.
Si tratta di un primo passo per levare anche le libertà fondamentali di gestione all’utenza, tramutandole nel tempo in una sorta di comunismo videoludico dove quello che dovrebbe essere nostro, da gestire privatamente come meglio crediamo, in realtà é di proprietà e gestione di un organo centralizzato. Non é accettabile una cosa del genere, turbando un equilibrio già ottimale tra libertà individuale e controllo della società.
Perché quello che io pago e diventa di mia proprietà deve essere così pesantemente inficiato da esterni? Fondamentalmente é come se degli organi dello stato avessero il diritto di entrare a casa mia (violazione del’appartenenza personale degli slot di salvataggio) solo perché mi hanno garantito la costruzione di quell’edificio su cui abito (offerta da acquisto di un loro prodotto). Che senso ha?
In questo senso anche la questione legata allo streaming videoludico di futura, molto probabilmente, attivazione, ha delle reali perplessità, coperte dalla comodità di avere a disposizione adesso servizi come Netflix o il cinema stesso che ci fanno sembrare apparentemente tutto lo streaming, in qualunque forma, comodissimo e non disturbante.
Se questi servizi però si possono avere con uno streaming a pagamento in quanto ancora la gente possiede un senso di prestito e di distacco interattivo dal media filmico e telefilmico, la stessa cosa non so fino a che punto potrebbe essere applicata ai videogame.
Se insomma il media filmico risulta più distaccato dal nostro senso di possesso privato, imponendo i suoi ritmi nella fruizione e nessun tipo di interazione manuale diretta, che sfocia anche in, giustamente, “prestiti” come le visioni comunitarie del cinema, come andrebbe con un mezzo molto diretto come i videogiochi? Un mezzo consumato sempre in maniera molto privata, che é molto influenzato dalla nostra manipolazione individuale tramite l’interazione aggiuntiva dei controlli degli avatar?
Volete davvero concedere a grosse multinazionali che continuano a insistere su prodotti che li stanno facendo praticamente fallire nel settore (come suggerito da Amy Henning), alleggerendogli di molto i costi di distribuzione e dandogli la possibilità di continuare su quella strada nefasta fatta più di pubblicità che di qualità effettiva? Si saranno resi conto dopo questo allarme? Beh, internamente queste notizie, certi allarmi, nei vari studi di sviluppo, solitamente si sanno molto prima che vengano divulgate al pubblico (come le crisi economiche mondiali in un mondo capitalista e individualista, insomma.
Dove per paura che l’avversario scopra le tue debolezze, si cerca il più possibile di rimandare il giorno in cui verranno svelate), centralizzate oltre che dal tipo di modello economico, anche dall’ovvio contatto maggiore con certe informazioni in quanto si é addetti ai lavori. Eppure hanno in maniera imperterrita continuato su quella linea fino a quando la situazione non é diventata insostenibile. Non si sono resi conto davvero, probabilmente, e stanno ignorando il problema nei piani alti dell’industria. Se una persona o un’azienda é davvero consapevole di quello che fa, non rischia di far fallire la propria fonte di guadagno in maniera notevole, chiudendo quindi anche i rubinetti per il proprio guadagno personale.
Sarebbe uscito No man’s Sky se si fossero resi conto? Sarebbe uscito questo Survive? Sarebbero continuate a uscire rimasterizzazioni, remake, reboot che rimasticano quanto giù fatto in negli anni antecedenti senza innovazione, e giochi su giochi che vanno a riciclare o a riproporre idee sempre nel solco del già visto e rivisto troppe volte? Io non credo.
Inoltre davvero si é pronti in un prossimo futuro a un livello di streaming ottimale per un servizio simile quando, per esempio, da roma in giù, in Italia, per esempio, abbiamo un livello di connessione che manco in zone davvero disagiate hanno? Siete davvero pronti a staccarvi da tutti i videogiochi che avete giocato solo perché non potete più pagare un abbonamento?
Divagazioni, a parte, insomma, sembra che Metal gear Survive, così come il finale venduto separatamente di Prince of Persia, e in maniera ancora più controversa, sia l’ennesimo tentativo di sfondare un muro che non dovrebbe essere toccato per non cominciare a far crollare tutto.
Ed é proprio questo che noi di NBG vogliamo contribuire a fermare, o nelle speranze più rosee a prevenire, non recensendo questo titolo. Il mercato dei videogiochi continuerà a sopravvivere per lungo tempo? Non possiamo garantirvelo, ovviamente, ma noi ce la stiamo mettendo tutta perché ciò accada.